"Il
vento è forte qui... si vola meglio" (Isola Tobia Label) è il secondo album di Gerardo Tango, cantautore pugliese che in questo lavoro dimostra maturità di scrittura - che spazia dalle esperienze personali ai cosiddetti "mali della società" - addentrandosi in un folk rock con irruzioni dal prog al funk che profanano il concetto (tradizionale o meno) di canzone. Questo, se da un canto potrebbe lanciare il lavoro verso nuove dimensioni, dall'altro potrebbe costituire un limite. Perchè c'è da dire subito che "Il vento è forte qui..." non è un album facile ad un primo ascolto, forse neanche ad un secondo. Tango non cerca a tutti i costi la melodia, la costruzione delle armonie, anzi cerca di metterle in crisi. E indubbiamente ci riesce. Ad essere funzionale però, è l'altalena di umori che bene si connota in questo caos di sentimenti e di musica. Questa caratteristica, ne siamo sicuri, lo ha portato a calcare i palchi di diversi importanti premi dedicati ai grandi cantautori italiani, ricevendo anche due nomination alle Targhe Tenco 2016.
“Resta”:
la sezione ritmica con Stefano
Montrone si
muove nervosa in un paso doble e “... resta non farti supplicare
abbiamo vissuto un incanto di una vita assieme, resta”. Massicce
chitarre elettriche e riff a sostenere un pezzo che soffre a livello
melodico. Ma la passione si sa, spesso è frenesia, follia...
“Se
tu...”: è una tipica ballad folk, di arpeggi anni '70, dove
Gerardo si fa vocalmente mesto per “non sentirsi più solo”. Un
brano di cambi di sonorità e di ritmica ostica:
“Se tu mi capirai anche quando voglio ululare alla luna in pieno
giorno” e poi è il pianoforte che spezza gli umori...
“Il
Riccio”: spaziale nell'intro storto: “Senza spine nella carne ma
il dolore è uguale... preferisci stare solo ma il confronto non
coincide, preferisco star con te e questa attesa mi uccide” poi si
ripresentano le elettriche e le incursioni del violino di Michele
Deluisi che macabri si inseriscono nella teatralità tormentata del
nostro, chiuso in sé stesso, proprio come un riccio che non vuole
aprirsi al mondo ma affilare gli aculei per difendersi.
“C'è
un'Italia”: il flauto prog di Paola D’Aluisio canta il nostro
Paese: “E come stai e come devo stare in quest'Italia si sta male.
C'è chi ruba e c'è chi lotta e c'è pure chi fa la carità”. Con
la precarietà del Belpaese e della voce di un Gerardo stanco come le
nostre vane speranze, una ballata con le chitarre velatamente alla
Manu Chao ed il basso-donna di Giulia Nanni che fa bella mostra di
sé. Nella parte finale un cambio di ritmo in cui si insinuano i
synth giostrati da Cristina Di Lecce che può confondere
l'ascoltatore; poi arrivano anche le elettriche “old school” a
donare “bellezza e miseria”...
“L'invisibile”:
“Poi uno sguardo e ti si apre un mondo...” e Gerardo racconta una
sua esperienza in un centro per disabili. Basta questo, “è
così...”, con le chitarre anni '70, di aperture
sonore, di riff funky: “Lascia che agli altri non piaccia quello
che tu fai”. Tango anche in questo brano cammina sul filo della
melodia, sempre in bilico...
“Confessione”:
piano e flauto in armonia ma poi è lo strumento voce a tranciare
questa atmosfera con una sorta di cantilena con fioritura nella
pronuncia delle finali: “Sai che diceva il Che? Che se non lotti
muori”, canzone di protesta che viene presa per mano dal flauto.
Nella seconda parte, protagonista è il pianoforte di Leo Episcopo in stile
Sergio Cammariere tra sonorità sudamericane...
“Prosopagnosia”:
elettriche cupe in cui affiorano cori inquietanti da ricordi ormai
vaghi: “Chi sei? Chi sei? Lo sai che sei bellissima, lo sai. Che
vuoi? Che vuoi? Io non ti conosco, io non ti conosco... no”. Un
uomo in un letto d'ospedale che non riconosce la sua dolce metà. Uno
stato che colpisce il sistema nervoso centrale ma che, a dirla tutta,
è più presente tra noi di quanto non possa sembrare. Spesso non ci
si accorge più della persona che abbiamo accanto e ci si perde
dietro una quotidianità che scorre troppo veloce...
“Lasciami
il cuore”: il sound folk torna a farsi sentire: “E' stato bello
il nostro amore, ma ora lasciami il cuore. Lo getterò via ai cani
senza pensare più a un domani”. I sintetizzatori sono troppo anni
'90 e nel chorus si risente il Samuele Bersani degli esordi.
“Ora”:
mood psichedelico, “... ed ora che non so più cosa fare dovrei
mettermi a pensare allo schifo di soluzione che sto trovando per
rimediare a tutti i torti miei...”, cacofonico e cantilenante per
perdersi “nell'universo dei pensieri tuoi”. Un rock ancora una
volta storto difficile da comprendere ma “non me ne frega più
niente di quel che dice la gente, mi libero e rido a crepapelle...”
è il giusto spirito con cui affrontare il tutto.
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