Fare
pop rock oggi in Italia non è facile. Spesso il rischio è di finire in un
calderone, di “suonare troppo alla…”. In questo contesto bisogna accettare la
sfida dei Veramadre, che con l’album di debutto omonimo, distribuito dall’etichetta
“La Stanza Nascosta Records”, si presentano con una proposta ben
contestualizzata ma contemporaneamente varia. Il problema semmai è scegliere
cosa sviluppare da qui in poi. Perché nei brani più puramente pop-rock si
risente più l’influenza dei Negramaro che del brit pop, che resta un’idea che aveva bisogno
di venire fuori maggiormente. Ma anche le incursioni elettroniche non sono
niente male e cercano spazio, perché per il lavoro dei Veramadre non possono
fare che bene. Le sonorità profonde, buie, è la migliore condizione per l’album,
che ha un filo conduttore: combattere l’abbandono, le mancanze di ogni giorno.
Se da un canto non ci mancano le tecnologie che fino a qualche anno fa non
erano a portata di tutti, di contro a mancare sono le persone, spesso gli
affetti, se non un posto nel mondo, un lavoro, ma anche un amico, un padre, un
figlio. “Ci manchiamo” ogni giorno, soprattutto in questo contesto sociale. Non
è facile essere giovani oggi quindi ci vuole fiducia.
Apre
### un elettro pop che fa da apripista a…
“Madre”:
“Madre tu non sai quante volte ti ho mentito, madre tu non sai se quella volta
ti ho tradito, madre come fai a respirare senza aria e dimmi come fai a
sopportare questa vita…”, testo molto clean che si scontra con la ritmica
massiccia come il brano precedente. Qui le ampie pennate dell’elettrica
dovrebbero essere più contenute e giocare di più con gli ottavi. “Madre ora dimmi
cosa possiamo fare…” rispettare l’ambiente in cui viviamo a partire dal nostro
quotidiano.
“La
faccia di tanti anni fa”: il singolo del disco è un pop rock italico come i
Negramaro insegnano, dove qui per fortuna le chitarre distorte non fanno altro
che bene al pezzo: “Se ti tocco le mani ti sembra che il mondo ti porti di là,
ma non puoi dirmi basta…”. Stop ang go di 6 corde in cui entra l’acustica ad
ordinare tutto fino al finale esplosivo.
“Gli
ultimi eroi”: bel sound cupo mesto, con le elettriche che entrano a riempire: “Gli
ultimi, noi, a fare niente e siamo noi senza più niente, né fare figli né lotte
per la libertà e con le scarpe più rotte dimmi che resterà”, il quadro di un
futuro già presente, grigio, buio: “… e siamo gli ultimi eroi di questa società”,
sì le generazioni dei 20enni, 30enni di oggi sono davvero degli eroi con la
speranza che non diventino martiri. Un brano che convince molto.
“Renè”:
slide stanche che arricchiscono la morbida melodia: “… amava i video dei gruppi
più strani… non ti voltare dai corri René, sei come sei, tu puoi fingerti re…
tu puoi essere nuvole…” . I nostri vengono avvolti dai ricordi e si lasciano
abbandonare in un brano riuscito perché sentito. Tra la prima parte e l’ultima
gli arpeggi ipnotici e i riff di chitarre che feriscono rendono spaziale il pezzo
per un finale old school.
“Solo
mia”: i sonagli rivestono un brit pop in cui si adagiano i colori della voce di
Daniele Monti, che ricorda molto Giuliano Sangiorgi: “Sono il tuo essere speciale,
la tua isola felice, il tuo incubo migliore che la notte torna a farti
compagnia…” poi chitarre leggere e una sezione ritmica piacevole e posata fino
al finale aperto agli assoli. Per lui “sei bella” ed è la cosa più importante
come lo è vivere bene con sé stessi.
“Nuvole”:
“Tu non lo sai, non lo sai come era facile. Tu non lo sai, non lo sai, come è
difficile guardarti e vivere” ritmica aperta, un pop più alla Modà che scivola
via in maniera sin troppo leggera musicalmente, nonostante le parole colme di
malinconia, di una vita difficile da vivere con le mancanze delle persone che
amiamo.
“Solo
se”: loop ed incursioni elettriche, poi nel chorus le possenti elettriche
distorte. Ma è quando i brani accolgono momenti minimal che ci convincono di
più rispetto, almeno qui, al testo: “Piove sopra gli aeroplani se non vedo te…
guardo le nuvole volare su tuoi attimi ma non ci basta respirare per resistere”.
“L’ultima
risposta”: chitarra acustica non proprio pulita per l’ultimo brano che chiude l’album.
Spoglio di tutto, per fare ascoltare le parole, Monti canta: “Nel cuore un
briciolo di forza un giorno ci conforterà con la speranza di chi lotta per la
vita e la pazienza di chi aspetta libertà” e risuonano i fiati a sorpresa, a
sorprenderci.
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