Cristina Nico - L'Eremita


“L'Eremita” è un mondo, un modo. Una terra incontaminata, una corazza. Un porto sicuro dove salvare “le illusioni” migliori. Qui Cristina Nico ha trovato un equilibro laddove equilibrio non c'è. E ai falsi “idoli”, alle isterie collettive preferisce tracciare un album indelebile. La Nico affigge in “L'Eremita” una targa con su scritto: Lasciate ogni speranza, o voi che entrate e indossa un'armatura tetra, ma determinata, risoluta, per affrontare la visione delle anime tristi, dei dannati. E chissà in quale girone andrebbero a finire i leoni da tastiera, avidi ed ingordi. Ecco perchè l'album prodotto da Raffaele Abbate per la OrangeHomeRecords è un concept, non solo testuale o concettuale ma anche e soprattutto musicale. Cristina Nico riparte dal grunge ed è una delle poche nella giungla indie a saperlo fare davvero. La ragazza ha groove! 
Riesce ad immergersi in un periodo ormai passato, nella cultura punk che la fa sentire a suo agio; lo si nota sin dagli arpeggi negli intro. Ma i brani non rischiano affatto di essere stantii o stancamente retrò, anzi, sono sporcati di noise in maniera maniacale, e benchè possa sembrare un ossimoro è qui che entra in gioco l'ottimo lavoro del suo produttore. La Nico risulta autentica, verace, senza abbandonare il cantautorato made in Italy e le velate citazioni d'autore. Con lei i preziosi apporti di Federico “Bandiani” Lagomarsino alla batteria, Osvaldo Loi de iSolaris ai maliziosi archi e Robi Zanisi (cümbüş, bouzouki, lapsteelguitar, dodici corde). E' un'annata davvero fertile per il cantautorato femminile.

"Disincantica": “Non ne posso niente di questo nulla. Non mi guardo più dentro. Tanto dentro... e intorno... lo psicologo di Dio ha il suo da fare” procede tra ipnotici arpeggi circolari mentre gli archi e i synth feriscono e infieriscono e “intanto spolvero i miei idoli” cosicchè le elettriche si “conficcano” tra le “costole ed il cuore”. Ma il brano nella seconda parte cambia pelle, come in trasformazione. La Nico non è più, in realtà, “quella di 20 anni fa”, dimostrando maturità, originalità, rispetto per il passato. Il passaggio “il bilancio è in attivo se sei ancora vivo” è melodicamente molto forte perchè risente prepotente della cultura anni '80, della liricità di Giuni Russo e del fascino ruvido di Alice. Nel finale le due anime entrano in contatto ed è subito noise.

“Chi c'è”: la batteria e gli arpeggi elettrici, nevrotici e grunge, assolutamente in maniera sorprendente nel chorus si aprono ad una ritmica beat. In questo “Chi c'è dentro e fuori di te, dentro e fuori di me”, nella ricerca strenua di sé stessi e nel capire con poche speranze gli altri, che poi è il senso di tutto il concept album, trova spazio anche la citazione deandreiana “bombarolo”. Quello che ne viene fuori è una Cristina Nico in stile “Doctor Jeckyll e Mr Hyde” con il carattere vocale che fa il verso ad Ivan Graziani ed in pieno mood “Silver” di nirvaniana memoria, mentre accenna: “C'è chi porta sulle spalle la Madonna e fa l'inchino a Cosa Nostra, c'è chi prega Carlo Marx di fare un salto a Porta a Porta...”. Sul finale si adagia un inaspettato bridge “London Calling” con le pennate tiratissime: “Io sono un uomo cosa c'è di strano, io sono un uomo l'essere più alieno”.

“Marrakession”: il minuto che fa prendere respiro al disco è un connubio di synth tuareg e noise spettrali benchè minimalisti ma un ottimo prologo al successivo...

“La donna di fuoco”: “Voglio cantar di una donna che ha sogni di fuoco. Oggi come ieri è andata in ufficio. Si annoierà, si stancherà, maledirà un'altra volta la normalità. Ma come sempre lo farà in silenzio. Sorridendo a chi le sta accanto” un baratro intimo colmato da arpeggi cupi, sinistri, drammatici, da raid elettro-tuareg, biografica certamente, con la vocalità così lacerante “Lei parlava con gli occhi come i cani chissà se ritornerà”, un testo che è un microcosmo e per addentrarsi in quello della nostra ci vuole la forza di una grande donna cresciuta in fretta ma che sa ancora amare, lottare, aggrapparsi alla vita con tutte le energie (im)possibili.

“L'Eremita”: nervosi gli arpeggi della 6 corde si frappongono a dei quasi palm mute, sempre molto grunge. E' qui che si apre il convicente chorus della title track con un'evoluzione davvero interessante: “L'Eremita non ha più bisogno neanche della voce, dalla sua colonna guarda in basso e non le viene voglia di tornare, l'Eremita non ha più bisogno neanche di parlare”. Cristina Nico si guarda intorno e non vuole appartenere, si sente straniera in una terra che conosce benissimo, come spodestata. Una concezione di vita per il vero: “portami fuori da tutto” è quello che urla. L'Eremita rappresenta la saggezza nei Tarocchi, il “filosofo delle verità” che si celano dietro le nostre quotidianità “social”. Il passaggio lirico evitabile che precede la potenza del ritornello, incute disagio, ma il brano si porta fino ad un gran finale pieno, corale, inquieto, di pancia.

“Puer Aeternus”: … una chitarra e suoni lontani... come se fosse l'unica cosa che l'eremita avesse intorno a sé oltre alla natura, gli animali selvaggi e le stelle la notte...

“Francesca”: arpeggi veloci e distorti con un gran bel sound: “Ma non vedi Francesca che là dentro si gela, apri quella finestra fai entrare il sole. Poi se vuoi Francesca ce ne andiamo al mare, affogheremo insieme per ritrovare il gusto di respirare” e la Nico torna a quegli “abissi” familiari, di “mandibole” e “creature” ignote ma con la consapevolezza di essere lei oggi un sostegno, per cacciare i demoni di Francesca, per dirle di “cominciare a urlare” che non è più sola, che il dolore serve. Il finale strumentale è potentemente elettronico, ricco di incursioni angoscianti.

“Stranonè”: uno dei migliori pezzi dell'album. I coretti ingannano una dolcezza sottaciuta dagli archi minimal di Osvaldo Loi in stile “Lemon Tree” e sembra esserci una frattura tra la strofa e in quello che possiamo definire chorus: nel primo caso un senso di abbandono nella vocalità, una sorta di “stato soporoso” di un coma reversibile; uno stato di incoscienza che nel secondo caso accenna ad un risveglio dei sensi... ed è la forza del brano: “Ci si abitua alle cose più oscene, alle convenzioni, alle confezioni, alle condizioni estreme. Ci si abitua a parlare del tempo non ci si abitua al passare del tempo... Strano è chi strano non è, strano è chi strano non è, non è strano chi è strano, è strano chi strano non è”.

“Tempi di pace”: l'intro si prende i suoi tempi prima di sposare il folk grazie all'apporto di Robi Zanisi e di virare verso un valzerino ironico: “Vivevamo in tempi di... l'eco delle bombe andava bene per riempire qualche conversazione. Poi si tornava tutti a pensare alla strategie di comunicazione per convicerti che vivevamo in tempi di pace”. Ora ci convincono che viviamo in tempi di minacce ed allarmismi, per spostare l'attenzione di un popolo servo. E smaniosa va verso un finale accattivante, da gridare a squarcia gola, da ballare anche: “Noi non si vende mica i pomodori meglio i cacciabombardieri” e “Quando la storia ci venne a cercare noi stavamo ancora in riunione” di una lucidità disarmante.

Funamboli”: è il punto di incontro tra “il caos” ed il “silenzio” in cui Loi fa ancora una volta un ottimo lavoro con gli archi impulsivi, descrivendo in pieno il temperamento di Cristina Nico, perchè la sua personalità è questo album, lei che si riconosce “in quello stare in equilibrio tra la necessità ed il bisogno”. Un equilibrio forse precario ma che ha, nonostante tutto (e tutti), trovato il suo baricentro. Proprio per questo motivo è richiesta la bravura di una grande artista come lei: i riff delle elettriche sono puro groove, gli armonici... colori nel buio. E' un brano in cui la bellezza si fa attendere, trepidante, e si svela nel finale dell'elettrica.

La Notte per ricominciare”: “Tra poco la pioggia cadrà sui nostri passi irrequieti, sul nostro cane che fiuta l'aria, su chi come noi è lì in attesa di quel che è, quel che sarà, di ciò che cambia, ciò che resta uguale”... orientale, di chitarre leziose, di ritmiche sinuose. Più minimal della “yoga” Björk, in un crescendo che è un mood pop elegante e superbo: “E' un'alba buia per noi...”

“Caleidoscopia”: tornano gli arpeggi dark: “Verde su verde colore di speranza imbrattato dalle cimici dell'idiozia padana” e guardando attraverso un caleidoscopio “di suoni e di colori” tutto sembra bellissimo ... ma è solo apparenza, è solo “il nulla che avanza” ed il minimal si sposa per forza di cose... liberandosi poi nel caos, nella selva che ci inghiotte e in cui dobbiamo re-esistere.




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