Chissà,
forse con quel "Ciao Cuore" ha abbandonato una parte
del vecchio Riccardo Sinigallia proiettandosi verso una "terra
di mezzo". L'album infatti, prende una direzione nuova o quasi
per l'ex Tiromancino: messe da parte le tipiche chitarre che hanno
segnato le sue stesse sonorità, indossa un mantello
elettro-pop mai banale, con la co-produzione della sua Laura Arzilli
(anche al basso) e le rilevanti impronte lasciate all'elettrica e
alla batteria da Motta, ricambiando la produzione di Sinigallia nel
fortunato "La fine dei vent'anni". Sinigallia non è mai
stato totalmente mainstream, ed ha, d'altro canto, guardato l'indie
da un piedistallo ma curioso com'è di capire, di apprendere, proprio
come "Uno che viene sempre da fuori", "Al limite dei
sogni" ed infatti in "Ciao Cuore" (Sugar)
prende coscienza dei propri mezzi. Forse seguire in parte i consigli
del suo "boss" Caterina Caselli lo hanno aiutato a tirar
fuori la personalità, il carisma. E Sinigallia cerca
di mettersi a nudo... però lo fa in maniera intelligente al
contrario di alcuni suoi colleghi.
Sa come dosare l'elettronica ma sa
anche che a un lavoro cantautorale così è importante l'interazione
tra musicisti. E al suo fianco porta anche il fratello Daniele e le
magistrali 6 corde di uno dei migliori chitarristi blues-indie
italiani: Adriano Viterbini. Un lavoro intimo e perspicace. L'unico
dubbio - oltre che una sensazione che penetra ascoltando l'album - è
se davvero il cantautore di "Prima di andare via" è a suo
agio, o se ha fatto un pò fatica a mostrare se stesso in una veste
abbastanza diversa dalla storia che si porta alle spalle.
"So delle cose che
so": manto di synth cupi, in crescendo, cinematografici, come
addentrarsi in un tunnel, uscire con gli occhi abbagliati di chi dal
buio incontra improvvisamente la luce: "Esistono solo il tempo e
la distanza tra ciò che io so e tu dovrai..." un testo alquanto
"mottiano", con il piano ipnotico, che mette in risalto la
voce del nostro tra distorsioni e malinconia. Il tutto concentrato in
3 minuti.
"Niente mi fa come
mi fai tu": piano che è un mantra, con un'aurea sospesa sullo
sfondo: "Niente mi tocca dove mi tocca tu, e so che può
sembrarti stupido dirtelo suonando per anni a testa in giù... "
una canzone d'amore nel senso più puro del termine, in senso lato,
verso la sua lei, verso la musica... nella seconda parte entra una
ficcante ritmica e da lì in poi il pezzo si arricchisce di archi,
senza mai spiccare veramente il volo.
"Bella
quando vuoi": le chitarre funk spingono e fanno bene a un amore
che si svende, mettendo su un altro mantra dalla melodia in pieno
stile Sinigallia che consente di focalizzarsi però meno sulle
parole: "Di
questi tempi bari, fra i tanti di passaggio. Chi dice niente paura e
intende niente coraggio, tra chi spaccia il disamore per un buon
superamento" nonostante sia un gran testo che lascia spazio
all'analogico con le incursioni delle chitarre coprendo il tappeto di
synth in un finale molto Radiohead...
"Backliner":
"A volte un partigiano sa il rischio della vita, di prendere gli
affetti e cose del mondo il basso entra cacofonico creando ancora una
volta un tappeto che perdura per tutto il pezzo, cupo e a muso duro.
La seconda parte si tinge di noise, di synth disperati ma troppo
ridondanti. Ma "un'altra notte vola" per uno che di
mestiere fa il back liner, masticando palchi, facendo funzionare
tutto. Sono i fonici, i tecnici del suono che garantiscono il vero
successo di un live... anche se poi ci si strappa i capelli per
l'artista di turno. E Riccardo non solo dedica loro un brano ma
dimostra grande rispetto per chi, molto spesso, lavora la notte
andando a dormire quando la città si sveglia e con la musica ancora
nelle orecchie.
"Le donne di
destra": "Mi piacciono le donne di destra capaci di tanta
indifferenza e ingenuità, le scarpe ancora più alte e unghie dei
piedi smaltate"... tamburi minimal e elettriche molto distorte
entrano a prendersi la scena, a cancellare la "tristezza"
anche "la mattina dopo". A dirla tutta probabilmente uno
dei migliori pezzi del disco, che riesce a dissacrare, come le donne
di destra che "lo attraggono... anche quelle che non ci si
sentono più" e l'ironia si infrange sul muro metallico del
finale che si ricollega al successivo...
"Ciao Cuore":
non ci sono le note chitarre frenetiche dei Tiromancino in sottofondo
ma un elettro-pop maltrattato, per fortuna. Difficile al primo
ascolto ma già al secondo si insinua in testa, tra i pensieri
quotidiani. Ci sono infatti dei cambi di ritmo, si preferisce nelle
strofe perdere melodia a favore della vocalità e del testo; ma poi è
nel chorus che c'è un'apertura ballabile che si frappone tra Gazzè
e Fabi, in una disillusione perenne: "Torneranno i mostri per
cercarci e balleremo insieme. Addio cuore che aspettavi l'estate..."
disincantata, un singolo da fine estate, malinconico come il nostro
ci insegna.
Dudù:
"Sarà
stato l'83 e a te, Dudù, ti piaceva mio padre e anche Bowie, Bob
Marley e Peter Tosh" nel ricordo della babysitter Dudù torna la
velata chitarra world di Riccardo... che è solo un'illusione perchè
il brano vira a quasi due minuti in un mood elettronico portato
all'eccesso, anni '80 in particolare sul finale. Ci piace però la
frenesia schizzofrenica di Sinigallia in quel "Mi ricordo io...
mi ricordo io" ad libitum che vorrebbe ma che non si esprime
mai, lasciando alla fantasia e alla memoria.
"Che male c'è":
chitarra morbida, basso femmina, che fa male: "Maledico le
occasioni per potermi rimettere al mondo... e non è colpa mia se è
tutto così difficile...". Già contenuta in "La
conseguenza naturale dell'errore" di Marina Rei, che l'aveva
resa di una bellezza dolorosa disarmante, Sinigallia qui crea un
ossimoro: mette in evidenza la dolcezza contro i raid delle
elettriche laceranti. Il tutto nasce da una lettera dell'attore e
amico Valerio Mastandrea dedicata a Federico Aldrovandi, giovane che
come Stefano Cucchi è morto sotto i colpi dell'abuso di potere. Qui
si "colpisce la libertà..." ma "è troppo tardi per
salvarmi, troppo presto per morire...". Gran pezzo di musica
italiana.
"A cuor leggero":
eccolo il Sinigallia style, nel suo ultimo pezzo. E questo denota
come non può del tutto fare a meno del suo background. In questo
ultimo epilogo lo si sente quasi sorridere dietro agli arpeggi che
giocano sulle corde alte... i cori sognanti: "Non c'è niente di
più urgente adesso... e chissà quante volte ci perderemo ancora
prima di non perderci mai più..." e sembra quasi che,
nonostante sia un gran bel disco, è questa l'essenza più vera ed
intima di Riccardo Sinigallia. Non è un brano molto cinematografico
ma fa comunque parte della colonna sonora di "Non essere
cattivo", il film che Claudio Caligari non riuscì a portare a
compimento... c'ha pensato Mastandrea a finirlo e a matterci un altro
zampino.
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