"Sottopelle-Sottoterra",
l'album d'esordio del cantautore ligure Gioacchino Costa, si apre con
un amore effimero e si chiude con un amore sano, totalizzante. Perchè
le radici molto spesso sono più fedeli di una lunga chioma, di due
occhi azzurri, di un vino rosso e fermo. Ma è proprio l'amore che fa
da trait d'union a tutto il lavoro (targato OrangeHomeRecords), in
tutte le sue sfumature, incertezze, paure. L'amore per una donna, per
una sorella, per uno "straccio di ideale" o per i profumi
della terra natia, è il sentimento - quello più precario - che
muove il mondo... così come muove Costa. I colori autunnali della
sua voce così matura, i puntuali contrappunti, ingannano la sua
giovane età che invece è ben più presente nella scrittura, nelle
metafore, anche se poi ci sono dei momenti in cui emerge il
Costa-pensiero: resta davanti a un buon bicchiere da cui non si vede
ancora il fondo per sorseggiare il sangue e il vino, per confondere
le ostilità con una parvenza di pace. Musicalmente il disco è molto
contaminato - dal reggae al country, dalla ballata all'irish - ed il
suggerimento da dare a Costa è quello di procedere su una "diritta
via" senza smarrirne l'orientamento, lasciando come Pollicino i
sassi per ritrovare la via di casa e ritrovar se stessi, per fondere
le due facce, quella che ancora si insinua nella sua giovane "Sottopelle" e quella che esplode nella sua impulsiva "Sottoterra".
Citiamo
tutti i musicisti che hanno collaborato all'album: Andrea Carrozzo,
Andrea Quarantelli, Armando Corsi, Marco Spiccio, Mario Arcari,
Francesco Piu, Guitar Ray, Bruce James, Riccardo Antola, Stefano
Malvasio, Maurizio Ghirlanda, Lorenzo Capello, Massimiliano Carretta,
Marco Porcella, Luca Scherani, Giovanni Carozzo, Loris Lombardo,
Luciano Susto, Marco Cravero e il produttore Raffaele Abbate.
"Anna":
un ipnotico reggae, solare perchè "se non ci fossero i colori
sarebbe un film retrò" ed il torpore della voce di Costa si
porta per mano "Anna", come un novello Marco innesta
metafore dalliane, "per addolcire la sua agilità che sembra non
temer confronti". Lo scambio di "labbra infuocate" che
nel chorus si accendono particolarmente, in questo brano però,
avviene solo nella dimensione immaginaria, davanti ad un bicchiere di
buon vino.
"Lo
stesso giorno": l'atmosfera cambia, muta pelle "come il
carbone nella brace". Costa e i suoi musici in sintonia
procedono in una ballad dal respiro internazionale fatta di ricordi,
di rimpianti e bilanci e poco prima della seconda parte, lancinante è
tenere la nota, allungare la voce, stendere le corde vocali per
"immaginarsi la pace", una pace a cui non si crede neanche
più. Intensi i momenti del parlato, di riflessione e forse un pò di
"autodistruzione"...
"Chiusi
dentro": "I tuoi occhi chiari già in cucina ed il cane che
ti fissa dalla soglia, questa notte a parlare era la voglia ed ho
dormito qui, ho dormito qui", è una ballata alla De Andrè che
nel chorus vira in un country da benedire, che lascia spazio alla
versatilità degli strumentisti. Gran forza e melodia di carattere
per un finale da goderne sempre più, come la forza carnale di una
passione, che non dovrebbe mai disperdersi per "una frase alla
finestra, una pagina, qualche nota ed un cappello..."
"La
Filastrocca del Mulino": una vera e propria filastrocca dal
sapore fiabesco e medievale: "Gira gira cosa resta, sbatte tutto
nella testa. Sbatte sbatte ti calpesta...", melodia cantilenante
e circolare come ciclica è la vita; un brano che non pesa anzi, con
le pause giuste al momento giusto. Ed un pensiero: "Questo mondo
a via di girare, prima o poi si stancherà?". Si stancherà di
guerre e fame, di "fiabe ed orrori"?
"Burattini":
"Venghino signori venghino" in un intro retrò in stile
anni '40, i fiati si lanciano in un ballabile "Ideali, che
strana aspirazione se associata ai maiali" ed il vibrato di
Costa avvolge con la sua potenza, si fa Mangiafuoco, stringe i pugni
e "strozza i pensieri"... siamo burattini allora come
adesso, figli di nuove dittature, o meglio di democrazie fatiscenti.
Il testo è alquanto intelligente: è stato realizzato facendo
riferimento ad alcuni slogan risalenti all'epoca fascista riadattati
ai nostri "tempi moderni".
"Serena-mente":
le acustiche flebili, a voler accarezzare, come Costa che vuol
proteggere Serena e la sua sensibilità: "Ora che hai perso
l'amore, oggi che il cielo non ti vuol parlare, stringi il tuo
tiepido cuore". Bravo il nostro a tenere le note, a colorarle,
anche a sporcarle a dovere. Qui il sound è molto minimal, "come
l'acqua scorre piano" ma "avvolge come un'ombra",
avvolge e travolge...
"Sensazione":
"La mente esplode e si confonde, si perde dentro ai tuoi
colori..." il singolo del disco è quello che, sicuramente,
meglio descrive il cantautore ligure. Voce calda, assoli di chitarra
sinuosi, atmosfera suadente fino all'apice Sottopelle: "Le
strade si infrangono sopra gli occhi e il cuore batte forte per la
paura". Gran pezzo, che sviscera e vomita il mondo dentro. Poi
sul finale un improvviso cambio "corale" e il solo
dell'elettrica è "come sangue al cuore"...
"E'
tempo di te": un "canto libero" di nascita e
rinascita. Un brano che Costa dedica alla sorella e alla nipote. Gli
arpeggi decisi se in un primo momento sembrano accompagnare la
possente vocalità del cantautore, dall'altro vengono valorizzati
dalle buone pause. E questo fa bene a tutto il lavoro. Amore puro,
perchè stare insieme salva, salva dall'ipocrisia e dalle brutture
della vita...
"Gira
l'Italia": mood irish, tutta incredibilmente da ballare anche
grazie alla fisarmonica: "E' la voglia che ti preme, pulsa il
sangue nelle vene". Prendendo ispirazione dal Giro d'Italia,
ampio spazio per la parte strumentale con Costa che sembra
immedesimarsi in "strade" che sembrano "un puzzle",
masticando palchi, consumando scarpe, pedalando...
"Mancami":
blueseggiante e stanca: "Si è soli con tutto ciò che si ama e
un uomo solo è sempre in cattiva compagnia", è vivere in
un'affollata solitudine come sostiene Pessoa. Bello questo passaggio
testuale: "Mentre cade la terra, cade l'Italia e muore la voglia
di insistere"... riff lussuriosi si scontrano con "E' tutto
finto, di vetro, questo mondo... il vostro mondo" e la presa di
coscienza.
"Piccon
daghe cianin": il mandolino, gli arpeggi di Armando Corsi,
proiettano Gioacchino Costa nella sua terra levantina, nella cultura
in cui è nato e in cui, con questo canto popolare ligure, ritorna.
Perchè è la potenza della natura, è la parte Sottoterra, quella
che trascina e riconcilia con se stessi e con l'Universo... e
godiamoci la delizia delle note, il calore familiare...
Un bravo cantante, con molte qualità che con la sua voce e i suoi testi ti scuote. Merita molta più attenzione e considerazione da parte del mondo della musica. Bravo Gio
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