"Doana" è l'ultimo album di "Cose di Famiglia", ovvero i
fratelli Giacomo e Mauro Da Ros che dalle montagne del freddo
Veneto, partoriscono un lavoro che di gelido non ha proprio nulla.
Anzi. Il torpore di un ballo frenetico, di un vin brulè, di un caldo
sole, rende "Doana" - mixato da Giovanni
Versari -
un abbraccio affabile, una pacca sulla spalla. E' il messaggio di
speranza, di non lasciarsi abbattare, di guardare avanti a testa
alta. A differenza di molti dischi intimisti, in cui l'autore mette
dentro se stesso oltre che i mali della società odierna, questo
album affronta la vita quotidiana infondendo il coraggio che a volte
manca. Perchè siamo piegati, spezzati, da chi per anni ci governa in
maniera sconsiderata, e ciò non ci permette di realizzarci, di
mettere in pratica quello che desideriamo. I Doana hanno questo
potere con i loro ritmi in levare, il folk vigoroso, il country ed il
rock: trasformare una "giornata uggiosa" (Battisti docet) a
ridosso delle Prealpi, in un ardente viaggio tra l'America e
l'Africa. Godetevo!
Chitarre in levare danno
il via a "Leggero", un invito a prendersi un pò in
giro, a viversi con leggerezza: "Stare qui ad ascoltare un pò
ed accogliere il colore sul viso e poi dentro a questo sole perdersi
e stare così..." il chorus è ballabile come, nella seconda
parte, il bridge cantato a due voci, due voci apertamente scanzonate.
Stessa tematica in "Lascia che sia" dove gli arpeggi
country hanno il sapore di ballata d'Oltreoceano e la sezione ritmica
si libera nella sua pienezza: "Forse è più semplice non
pensare più. Mettersi ancora in ascolto e poi...". La
stessa atmosfera, ma più mesta, la si sente in "Aquila",
con gli arpeggi in evidenza e la trepidante batteria di Andrea
Fontana: "Non si può decidere quando poi arriverà
improvviso ed unico quel regalo a te..." e i fratelli Da Ros
ci chiedono di sorprenderci in questa vita, di godercela senza troppe
remore.
Il vigore ritorna in
"Un'altra volta": "Sento salire lo stress generale
mi accorgo che non vivo più. Fondamentale diventa pensare a qualcosa
che mi porti via" ed il viaggio folk, di chitarre energiche,
basso curioso e batteria afro, continua con un gran brano che strappa
il sorriso, che mette il buonumore e scaccia la solitudine ed i
cattivi pensieri di chi non valorizza ma affossa e scredita. Qui il
gioco delle due voci si lascia accostare agli ultimi Tre Allegri
Ragazzi Morti di "Il Giardino dei Fantasmi". Anche
in "Afro baiata" gli strumenti danzano in una tribù
del Continente Nero. Come se le montagne venete fossero state
abbattute, volgendo verso nuovi confini: "E questo suono che
sento nell'aria è ancora mio e questa acqua che porta via il pianto
nascosto in me"... E da un mondo si passa ad un altro. La
strada è lunga lungo i deserti texani di "Caldo a Novembre",
ancora 6 corde potentemente country, senza risparmiarsi e picchiando
sul manico dimenticando l'eleganza, è solo sopravvivenza: "Qual
è la forza che ti spinge ad inquinare ancora un pò?". Una
denuncia sul riscaldamento globale che afflige la Terra e l'uomo che
la vive, con una melodia ben decisa e nella seconda parte anche una
chitarra dylaniana.
Un folk alla Beirut sale
sull'"Altopiano" per guardare la bellezza
tutt'intorno e ritrovare la pace. Delizioso l'assolo: "Sentirò
nuovi brividi... vento che mi accoglie, io respirerò...".
La sorpresa strumentalmente è "Parlami". Se da un lato è
il brano più pop, dall'altro è ricca di irruzioni interessanti sia
della batteria che dell'elettrica distorta, sfiorando la cacofonia,
ma solo appena. Ed il chorus è da cantare a squarciagola: "E
allora parlami almeno una volta di te, con lentezza se vuoi, non
nascondere il vuoto che c'è, dentro l'anima..." solo il
bridge parlato convince poco, avremmo preferito uno spazio per far
esprimere al meglio l'intenzione musicale. E l'album si lascia bere
come un buon "Vino", con i riff intriganti, le
chitarre "free", un piglio rock notevole nel
ritornello che nel breve "ponte" diventa altamente sensuale
"e non potrò fermare la mia mano... sono umano"...
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