Giulia
Ventisette torna con tante cose da dire e con il suo secondo album in
studio dal titolo "Stanze" prodotto dall'etichetta La
Stanza Nascosta Records. Il singolo "Tutti zitti", storia
del precariato in Italia, le ha portato un Premio della Critica al Limatola Festival ed un
Premio Under 35 a "Voci per la Libertà - Una Canzone per
Amnesty", entrando dalla porta, questa volta, del mondo musicale
indipendente italiano. Benchè "Stanze" sia genericamente
classificabile come un disco pop, risulta comunque contaminato, con
la parte musicale jazz, swing, anche dai tratti latini o country, ma
questo perchè al suo fianco ci sono diversi musicisti che aggiungono
la propria personalità ai testi di Giulia. Ed è questa la carta
vincente del disco. "Stanze" non è ridondante e quindi è
intelligente perchè tutti al secondo lavoro vengono attesi al varco:
e Giulia Ventisette riesce a fermarsi sempre al punto giusto.
Sicuramente i brani in cui può sfoderare la sua teatralità sono
quelli che preferiamo ed anzi sarebbe bene puntare tutto su questo
aspetto fondamentale per la sua musica. Ogni brano ha un significato
preciso, la cantautrice sa esattamente quello che vuole dire, il
messaggio che vuole lasciare.
Si inizia con "Soldatini
di carta": "Con il cuore di ghiaccio rinfrescano i loro palati"
e dal sapore di Sudamerica, a passi suadenti procede la batteria e il
basso, poi sono i synth, in maniera molto puntuale, a colorare chi i
colori li ha cancellati, chi ha imbruttito il nostro Paese. In
"Unico" sono le chitarre suonate da Franco Poggiali ad
affiancare la vocalità nuda di Giulia, senza artifizi nonostante "la
maschera che porto". Un pop sostenuto anche dal groove del
basso: "Non puoi lasciare che sia solo un gioco..." perchè
siamo "prigionieri persi".
Giulia cambia registro ed
atmosfere in "Il Sale sugli Occhi", jazzistica soprattutto
nel pianoforte, nella batteria e nella tromba, mentre la voce della
nostra vira più verso un pop melodico: "E adesso dal balcone
dei ricordi, tra silenzio e luci spente, stringi quei pugni e
nascondi le dita", come a voler dire: combatti, lotta! Il piano
di prima si prepara a tirar fuori "Te lo dico con una canzone"
che mostra i sentimenti, a cuore aperto: "Ascoltami sono poche
le parole niente di originale, sembra tutto così naturale" e lì
si adagia, tra una strofa ed un'altra, il delicato violoncello di
Federica Finardi. "Un eventuale ritorno", è molto
sanremese, forse per questo debole nel contesto: "Un Impero per
ogni Re, qualche favola a quelli come me", "luci e ombre"
alla ricerca di un volto da amare, appiglio dei giorni futuri. Sulla
stessa scia, con le chitarre "free" ed accordi semplici,
"Il padrone del buio": "Cosa speri di trovare in
quella stanza senza luce? Nel buio solo i demoni resistono e non
guariscono i tuoi guai", un'instabilità che spesso solo una
donna conosce, una donna forte ma insicura, ossimoro imprescindibile.
Dopo
questi momenti riflessivi parte "Burattino" e l'album si
risveglia nel teatro-canzone, con il tragico violino di Elena
Craighead. Giulia è più a suo agio in brani da "commedia":
"Vorrei sapere com'è che ti chiami, che nome hai. Vorrei
sentire la tua voce e non la sua". A puntare il dito contro un
marito-attore, un uomo dalla doppia vita ma che si lascia tirare i
fili. "Una relazione mono-settimanale" accoglie dei riff
country deliziosi e come sempre non invasivi, caratteristica che fa
bene a tutto il lavoro: "Ma non mi posso lamentare di un
bicchiere mezzo vuoto, se tanto non affogo, se tanto non affogo ma ci
nuoto", pensieri che frullano nella testa della cantautrice e
che si perdono nel bell'assolo dell'acustica di Giacomo Pelanti.
E
i dubbi ritornano in "L'opposto di me" con alcuni momenti
di sospensione, voluti probabilmente per attenzionare maggiormente il
significato testuale: "Che ti aspetti da me? Un pò di trucco e
l'abito buono, mentre preparo il caffè e mi dimentico chi sono"
e che accade a chi tarpano le ali, a chi non può realizzare i propri
progetti perchè la famiglia, la società, ti vuole in un certo modo.
Ma la perfezione non esiste, esiste la felicità... e Giulia lo sa.
Ciò ha un seguito: "Tutti zitti" racconta questa
"anestesia da posto fisso" ma "la verità è che ci
hanno ipnotizzato", un pezzo di musica leggera godibile.
Il
registro "teatrale" prosegue con "Figli d'arte": la sezione ritmica swing e le incursioni flebili di Jacopo
Bencini al violino blueseggiante come la 6 corde: "Siamo tutti
figli d'arte di una vita senza scopo e non ne prendiamo parte finchè
l'arbitro non fischia un fuorigioco". L'album si chiude con una
"Psicanalisi" rock, dark quanto basta: "Vorrei
perdonare le parole ingiallite pronunciate a metà..." e ci si
guarda dentro per capirsi, ad avere un pò di amor proprio, che non
guasta.
Commenti
Posta un commento