"Maschere" di
Andrea Donzella è un lavoro molto singolare. Autoprodotto, benchè
registrato e mixato presso la Sonic Factory, indubbiamente non come
un qualsiasi lavoro indie. Perchè di indie - nell'accezione più
tipica - l'album non ha niente. Per ascoltarlo bisogna proiettarsi in
un periodo storico ben preciso, quello della musica italiana che
abbraccia due decenni e oltre, dai primi anni '70 e fino all'inizio
dei '90. Un periodo dove le riviste di musica, ed erano ancora
parecchie, sfoderavano le migliori voci, da Mina a Peppino Di Capri,
da Franco Simone ai Pooh, senza esclusione. "Maschere" è
un disco di musica leggera, in cui Donzella vorrebbe pure avere
quell'ambizione prog, ma non riesce nell'intento del tutto. E il
lavoro resta più nel neomelodico, ma solo, si badi bene, nel
significato di vestire in chiave moderna la canzone melodica della
tradizione italiana. "Maschere" sono tutti i sentimenti che
Donzella vuole mostrare, l'uomo orgoglioso, l'uomo ferito, l'uomo
innamorato, quello braccato... che deve liberarsi e uscire da
qualcosa che gli sta troppo stretto.
“Mille cose da
salvare”: ballad di stampo prog ingannevole con una eccessiva eco
nella voce molto Eros Ramazzotti: “Adesso sposta il culo e vieni
fuori” ed i violini appiattiscono anche la strofa che è il momento
più convincente. Nella seconda parte il ritmo è come se iniziasse,
con l'eccessiva cantilena, a cedere il passo... Donzella toglie la
maschera pian piano e dietro gli assoloni melodici di "Quante
volte avrei voluto", recuperando la musica leggera italiana anni
'70-'80, con una massiccia dose di violini e l'impronta molto
neomelodica: "Dammi un altro giorno e rivedrai il tuo mondo..."
con assolo finale come in "Ogni volta io", dove il nostro
sfodera l'anima più melodrammatica, con una interpretazione buona e
dolente: "Ogni volta sono io... ogni volta faccio tardi, ogni
volta non ci riesco..." e anche i violini sembrano smarriti,
impauriti. Nella vita come si fa, spesso, si sbaglia. Potrebbe
comunque essere un pezzo Sanremo style.
Un inizio da "L'Essenziale" di Mengoni, ma a parte qualche nota comune, "La
vita è così" è un'altra cosa, sicuramente appartiene ad
un'altra epoca. Gli echi nella voce inseguono la sezione ritmica, con
l'elettrica che si prende i suoi spazi rievocando i Pooh, quelli a
cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, quando dal prog sono passati a
un più semplice pop-rock con melodie spiccate: "Se puoi andare
controvento avrà più senso" e fermarsi mai, sempre allerta
come i pugili.
Ed un senso la vita ce
l'ha, per Donzella, quando si è in due e in "Non ci sei"
si fa mesto. Il pezzo vive di due parti: la prima con una ritmica
chitarra, basso e batteria molto circolare, alla De Gregori di
"Generale"; la seconda più battistiana, ricordando
"retaggi" e "aneliti": "E abituarsi questo è
il nuovo tempo, vivo solo se c'è dentro un battito". Il
cantautore è combattuto, in conflitto ed il senso ci sta. Poi il
finale è tutto un manto di violini poderosi molto "Il mio canto
libero". L'atteggiamento alla Sandro Giacobbe o alla Gianni
Bella lo conserva per "Ho fatto tutto" che sembra uscita da
una rivista patinata di quegli anni: "Non avrò paura di
sbagliare, ho messo in conto di farmi male", un guardarsi dietro
e trarre un bilancio, ma la scelta è di vivere più a cuor leggero.
Insomma, "non si può morire dentro". "Non è successo
niente" è un seguito vero e proprio del precedente brano, anche
se gli spettri di una relazione troppo opprimente sono dietro
l'angolo: "Ti guardi allo specchio sei ancora a metà",
musicalmente siamo sulla stessa lunghezza d'onda e talvolta Donzella
si mostra nuovamente melodrammatico. Un'altra contraddizione nel
finale, nel turbinio dei sentimenti di un uomo che se nella storia di
prima si sentiva privato della sua personale libertà, in "Se
tornerai" cerca la sua lei, tra assoli di chitarra elettrica e
ancora una volta, gli abusati violini: "Avrò capito forse
niente e il niente che volevo eri tu", pezzo uscito da un
Sanremo dei primi anni '90.
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