Urgenti come forza espressiva traboccante, ossessivi come passione incontenibile, dove l’amore per la musica è l’oggetto amoroso tanto bramato. Gli “I Hate My Village” vera e propria superband formata da Adriano Viterbini, Fabio Rondanini, Marco Fasolo e Alberto Ferrari, arrivano quasi minacciosi, impetuosi a tratti, pronti a travolgere tutto, tra ritmi africani accelerati e giungle dove trovare oasi lisergiche incontaminate, alla ricerca di una purezza che è nell’arte e nella sua stessa creazione.
“Tony Hawk of Ghana” : con la chitarra a punteggiare, su una sezione ritmica ipnotica nel suo dipanarsi , è il primo singolo estratto
“Presentiment”: procede a strappi, carica di tensione, frenetica
“Acquaragia”: nervosa, con il suo dipanarsi tribale a tutta velocità, tra linee melodiche improvvise date per lo più dal cantato di Ferrari, mentre la chitarra procede ostinata
“”Location 8”: una partita di ping pong dove fa appena capolino un mood alla Riders on the Storm
“Tramp”: sorta di mantra con un riff ficcante e incisivo che prende derive noise su una ritmica che si mantiene scura e costante
“Fare un fuoco”: un treno arrembante alla ricerca di una stazione immaginaria, per la serie: sembra di sentire i Rage Against The Machine sotto acido
“Fame”: i giri rallentano di colpo, e per la prima volta la melodia diventa protagonista, benché navighi accuratamente nell’oscuritù, vengono in mente i Mad Season in certi passaggi, per questo sbilenco gioiello prezioso
“Bahum”: l’atmosfera si dirada, sfumano i contorni, il quadro cerca di farsi nitido consegnandosi a una improvvisa schiarita dal tono trionfale per procedere in una breve e intensa cavalcata lisergica
“I ate my village”: come da titolo del film di cui la band prende il nome, è un brano sostanzialmente prog per i suoi continui cambi di tempo a tratti schizoidi, ha gli stilemi di un mero esercizio di stile che mero esercito non è
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