Hanno il nome di un
ormone vitale per l'essere umano e il loro album è mitologico. Sotto
diversi aspetti. Gli Epo sfornano per SoundFly, il disco "Enea", un viaggio durato qualche anno per i mari del Sud alla ricerca di
fascinazioni esotiche, di sound internazionali. Ma la band è a casa
che ha trovato il perfetto baricentro. Con la produzione di Daniele
“Ilmafio” Tortora, che ci mette il suo marchio, gli Epo credono
in un progetto di scrittura completamente in napoletano, testi in cui
la matrice è la linea tortuosa dei sentimenti, degli amori che non
ci sono più, dei ricordi. Testi sì semplici ma che il dialetto
rende armoniosi, musicali senza bisogno di orpelli. E che la voce
rende profondi, teneri e persino laceranti in superficie, già
rimarginati ma con un segno che tende a tracciare un solco.
Veniamo
alla musica. "Enea" vive diversi momenti che "Ilmafio"
tende a compattare. I migliori brani sono le ballad, i pezzi più
nostalgici, ma anche quelli in cui è ben presente il tappeto
elettronico di una spazialità incredibile, in quelle pause che
ampliano e amplificano la strumentazione. Le tendenze più soul e
sovrabbondanti invece, hanno meno carattere ma è proprio lì che si
vede l'intelligenza di scrittura e di produzione (soprattutto):
andare alla ricerca di una "chicca", di un suono che si
sposi, di una linea di basso sinuosa, dei fiati di Roy Paci da
baciare, degli archi di Rodrigo D'Erasmo che entrano a gamba tesa a
far male. Un disco che dimostra come il dialetto sia tornato in voga
negli ultimi anni e da pochissimo anche il nuovo cantautorato
napoletano. Il nostro 2018 si è chiuso con in testa alla classifica
dischi "'O Diavolo" di Francesco Di Bella (sempre
in napoletano). Quest'anno?
"Addò staje tu":
un manto di tastiere si incrocia con i nevrotici arpeggi, ipnotici ma
mai stancanti, che affondano in un passato mesto e "dove stai
tu, ci sto anch'io" e non c'è bisogno di dirselo, ma solo di
guardare lontano, più lontano con quei fiati come onde... Si inizia
benone.
"'A primma vota"...
e "u munnu nun c'aspetta e trase p'a finestra" e "il
giorno è già arrivato" per questo gli Epo mettono su un soul
con una ritmica funky, con le chitarre che giocano di palm mute che
si dipanano per tutto il brano. Le tastierine entrano in gioco nella
seconda parte, in cui la voce risente della tipica fioritura
napoletana...
"Nun ce guardammo
arete"... e nun dicimme niente ma che parlamm' a fà..." si
guarda avanti cingendosi in una ballad circolare, innamorata, dove i
fiati cacciano via lo spettro neomelodico, virando intelligentemente
verso un bridge in parte cantato e in parte no, rockettaro nei
riff... una dolce poesia "notturna"...
"Dimmello mò":
sound spaziale e qui c'è la mano del produttore. Belle le pause
musicali che trovano un senso anche testuale: "mi voto e te
penso, mi stai aspettann' fora a scola...". Le 6 corde creano
una progressione alla Radiohead style più vivace perchè "cà
nun tutt'è perduto" canta l'autore Ciro Tuzzi.
"Luntano": i
fiati sono fantasmi che aleggiano e timorosa è la voce: "Quanta
forza e quanti anni quanti iorna e quanti affanni'" una salita
lunga dove tutto rimane sospeso, addormentandosi dentro una ballad
lunare alla Diodato. Il basso sono passi nella notte, rievocando
quell'Amarsi un pò battistiano... non serve altro ad una bellezza
simile, solo aprire la mente e lasciarsi andare...
"Damme 'na voce":
il basso spinge funky in un mood molto neo soul. Musicalmente molto
pieno, corale, alla Senese, ma un pò debole proprio per i
riferimenti storico-musicali che benchè ammodernati non riescono del
tutto a creare il vero pathos.
"Sirene": una
coperta elettronica, di chitarre-sirene e di fiati, dove qua e la si
inseriscono delle note anche leggermente dissonanti e quindi
interessanti... "una voce leggera" procede verso nuove
sonorità, per reinventarsi, come piace agli Epo, che su questo disco
ci hanno scommesso parecchio. Ed hanno fatto bene.
"Auciello": un
pianoforte e una voce che ci si appoggia "aspettando la notte".
La batteria sfiora, l'elettrica colora; la seconda parte eccede nel
ridondante ma convince nella sentita vocalità...
"Malammore": la
voce di Tuzzi si espone melodicamente e tragicamente. Gli archi di
Rodrigo D'Erasmo squarciano il petto di un cuore innamorato, in cerca
di lei che lo ha lasciato solo. Ogni notte però, la sogna in mezzo
ad un campo di ciliegie... e il brano ci invade di profumi e
nostalgia. Incredibilmente cinematografica, a Troisi sarebbe piaciuta
davvero molto e immaginarlo ci commuove.
"Ombra si' tu":
le cicale e la calura estiva, acustica sudata e stanca, "sì tu
u chiù bello suonn' di st'ammore" e gli Epo sembrano legare le
tracce del disco al tema dell'amore, della ricerca, della
consapevolezza che il passato bussa sempre alla porta, si manifesta
anche nei sogni... l'importante è guardare avanti per necessità.
Quando si affaccia il bridge e il pezzo si dilata, la melodia ricorda
"La Forza della vita" di Paolo Vallesi. Anche qui finale
pieno, ma ai fiati di Paci e agli archi di D'Erasmo si perdona
tutto...
"Appriesso ‘e
stelle": "nun ce fermammo mai" e corrono via sul sound
più pesantemente elettronico di tutto l'album, con l'atteggiamento
dance fine anni '70, con un momento che è appannaggio della
batteria, il giusto spazio per esprimersi.
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