“Rapina a Stoccolma” di Robert Budreau


“- La situazione qui è diventata sempre più anomala, sembra di essere in un film americano”

“Rapina a Stoccolma” di Robert Budreau con Noomi Rapace, Ethan Hawke, Mark Strong, Christopher Heyerdahl, Bea Santos, si ispira alla storia vera della rapina avvenuta nel 1973 che divenne un caso mediatico in tutto il mondo e dalla quale deriva la “Sindrome di Stoccolma” ovvero quella patologia dove la vittima finisce con l’immedesimarsi col suo carnefice al punto tale di diventare suo complice. Più che alla vicenda in se, alle sorti della rapina, il film si concentra nello sviscerare le dinamiche che portano a questo tipo di patologia, scavando all’interno delle personalità dei vari personaggi, che sono “sospesi” all’interno del caveau della banca, in una sorta di microcosmo parallelo mentre fuori la vita “normale” cerca un modo per tirarli fuori e riportare il tutto alla ragione, a ridefinire i ruoli di buoni e cattivi. Lo stesso processo di ribaltamento avviene nella mente dello spettatore che non può non parteggiare per Ethan Hawke e compagni e riconoscere nelle forze dell’ordine e in quelle politiche “il nemico”. Tecnicamente “Rapina a Stoccolma” trova sin da subito il suo ritmo narrativo e coinvolge appieno, come le canzoni di Bob Dylan che invadono la fredda e distaccata Svezia con la forza dell’American Dream e i suoi ideali di libertà e voglia di ricominciare. Recitazione più che “credibile”, regia lineare e ben fatta così come la fotografia avvolgente di Brendan Steacy. Di contro, qualche libertà di troppo nella sceneggiatura dello stesso regista, con alcune inverosimiglianze, ma nel complesso un film di sicuro interesse.

“- A chi cazzo di uomo non piace Dylan”
“- Pensavo di parlare con uomo autorevole - Pensavo di parlare con un rapinatore di banche”
“- Ho ancora una cicatrice sulla schiena per colpa tua ma sono viva sono ancora viva”

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