The Zen Circus, la recensione de L'ultima casa accogliente


Dopo le suggestioni elettroniche dell'ultimo lavoro "Il fuoco in una stanza", gli Zen Circus tornano per così dire all'essenzialità e all'omogeneità in "L'ultima casa accogliente" con brani decisamente diretti in pieno stile Zen. Un ritorno alle origini per così dire, all'urgenza del raccontare, "alla pancia" dell'ascoltatore. A farla da padrone i testi, la loro visceralità, che risalta sincera e fiera a squarciare ogni patina.

“Catrame”: apertura in pieno stile Zen, con un sound decisamente pastoso, con una parentesi acustica, prima di ripartire, a narrare le nostre piccole grandi contraddizioni: “negli anni in cui fumare incinta non faceva alcun male / Il fumo entra nei polmoni e nei polmoni rimane / come il tumore che vorrebbe uccidere mio padre / Tu portami da bere e continuiamo a scherzare”, è il secondo singolo estratto: “Sei tu e chi può odiarti di più?” Parafrasando i CCCP.

“Appesi alla luna”: il primo singolo estratto, su un arpeggio di chitarra che tira dritto e deciso, con un bridge che si fa apprezzare, soprattutto quando di colpo rallenta il ritmo nella seconda parte, prima di ripartire nel ritornello, un vero e proprio inno generazionale: “Ah, guarda quanta gente / Perché mai dovresti esser tu importante? / Siamo accendini senza sigarette / siamo fame e sete, siamo dei gradini / fra le salite e le discese / di un milione di miliardi di destini / Appesi alla luna / sopra Lisbona”.

“Come se provassi amore”: il terzo singolo estratto, è un sunto di vita “quanto è difficile da immaginare / come una guerra dove non si muore / o una malattia che non ha sintomi e anche senza cura / non dà dolore”.  Decisamente accattivante con dinamiche abbastanza prevedibili ma che non dispiacciono.

“Non”: al pianoforte, una marchetta irresistibile che cresce d’intensità: Lascia che le navi escano dai porti / lascia che ti vengano a trovare i morti / lascia che i colpevoli vengano assolti / lascia stare per sempre il giudizio degli altri / non è l’amore a farci a pezzi / non è il dolore a scrivere versi / non è la voglia di farmi male / non è la voglia di farmi male.

“Bestia rara”: qualche tocco elettronico a dare al corpus alcune dissonanze, ritmica sugli scudi, per testo senza fiato e decisamente toccante: “La notte, l’aborto, la birra, l’aurora / la roba, le stelle, le Camel, la scuola / il sudore, la pelle, il cazzo / e allora? / La voglia che avevi ancora / Il corpo che muta / la sabbia che brucia / i baci bagnati / gli abbracci negati / le storie, i racconti di vecchi balordi / la vita che vorresti ancora”.

“Ciao sono io”: Ciao sono io ti ricordi di me / calciavamo palloni, sgonfi come polmoni / Il primo giorno di lavoro il padrone ci dice / “Siete qui per faticare / ragazzi mi dispiace” ritmica in levare e mood nostalgico.

“Cattivo”: ritmo irresistibile e apertura melodica senza paura nel ritornello: “Ah beh, cosa vuoi, siamo fatti così / eroi il weekend, schiavi il lunedì / schiavi di pensieri dal respiro corto / scarpe alla moda e facce da stronzo” uno dei testi più intensi dell’album con un’ottima apertura melodica nel ritornello “guardo la mia vita come al cinema / il protagonista di certo è dio / così il cattivo oggi sono io”.

“2050”: altro brano classico in stile Zen con una vena nostalgica presente per tutto il brano: Tu urli, io urlo / come fanno i cani / l’adolescenza eterna degli esseri umani / quante carezze ci vogliono per fare uno schiaffo / quanto dolore ha trasformato il mio cuore in un sasso.

“La nuova casa accogliente”: la title track ha un incedere epico che ben si sposa con la melodia e gli intrecci sonori che diradano l'atmosfera che si propaga nel suggestivo finale. L'unico brano dove i nostri vanno per così dire fuori dalla forma canzone osando un pò di più dal punto di vista strutturale e strumentale: dici che la musica, serve a far tacere le persone / E niente, sei il mio continente / l’ultima casa accogliente / Elena / come va / nevica / nell’anima / Elena / edera / si arrampica / libera.

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