Serena Diodati, la recensione di "Esistere"


"Esistere" è il primo album di Serena Diodati, distribuito dall'etichetta ligure Lilith Label e autoprodotto con Federico Fantuz e Davide Fasulo. Un album fortemente introspettivo e per questo facilmente accostabile ad un vero e proprio concept sull'insostenibile leggerezza dell'essere. Dal primo brano fino all'ultimo, la cantautrice ferrarese si scava, forse troppo a fondo, si divora l'anima nel cercare di capire e quindi di capirsi. Inizialmente non ci riesce e ciò le fa assalire quasi un senso di inadeguatezza, che si traduce nella ricerca di affetto, di una mano tesa da afferrare per scappare via... ma scappare da chi se non da se stessa. Fino a quando proprio questo forte senso di angoscia si trasforma per sopravvivere, per esigenza. E l'autrice muta riuscendo a liberarsi del peso dell'esistenza, delle convenzioni e lasciarsi andare. "Semplicemente", come dice lei. Un disco che è un piccolo gioiello con alcuni limiti di produzione.

"Dislessico": synth e percussioni a passo suadente: "Là fuori c'è un mondo fantastico, ho un pensiero della vita dislessico" di chi fa fatica spesso a comprendere i segnali del proprio cammino... "dove va a finire tutto quel calore, tutto quel piacere" forse è molto più facile di quanto si possa pensare, con la Diodati vocalmente leggiadra che non fa pesare questo macigno sul cuore. 

"L'ombra": cupe percussioni in stile "Clap Hands" ma non sentiremo la roca voce di Tom Waits. L'arpeggio della 6 corde è malinconico, un manto elettronico a colorare in maniera sempre molto minimal: "Non vedo i tuoi occhi ma so che ci sei, non sento i tuoi tacchi ma sei qui per me" è la visione di una figura senza volto, una presenza, o più realmente una paura. 

"Corro": sembra la prosecuzione del brano precedente. Scappare da qualcosa ma sostanzialmente scappare da se stessi: "Mi immergo a cercare un senso nel dolore, lo guardo sfumare, lo lascio scomparire"... e Serena si fa attraversare dal dolore, da synth sempre puntualissimi, da una chitarra ritmica mai invasiva.

"Esistere": la title track si adagia su una guitar che sembra non interessarsi di echi lontani, di percussioni meste, mentre la nostra si mette a nudo su una rumba, come ognuno di noi ha fatto in questo anno di pandemia, volti alla ricerca di quell'istinto sociale e d'affetto che ancora oggi ci manca: "Dammi carezze alla sera e dimmi che sei qui con me..."

"Custodisci": ... e di mancanze si parla in questo brano, la mancanza di esprimersi, imprimere il proprio passaggio nel mondo, la voglia di uscire fuori: "Non riesco più a nascondermi..." canta Serena tra una chitarra che la insegue e gli archi che arrivano a mettere pace all'inquietudine.

"Sospesa": intro ancora minimale dove fanno l'ingresso voce, chitarra e le note jazzate di un pianoforte con la cantautrice che si libera di quei vincoli, di quei retaggi che l'intrappolavano, per correre via e riprendersi la sua vita: "Io non insisto più mi lascio portare dalla corrente, forse mischiando, forse galleggio, forse..." ma indubbiamente il miglior pezzo del disco. 

"Smetterà": le onde del mare che si rincorrono fino a riva è il senso con cui Serena affronta oggi il suo percorso. La chitarra ne fa una ninna nanna: "Come una bugia, il rimpianto è un vestito, come una magia si trasforma in nemico". Da qui ad ottavi tipicamente rock in contrasto con la vocalità acuta, ma probabilmente un passaggio voluto a marcare un cambiamento radicale, "un passato che si trasforma". Finalmente. 

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