Fabio Caucino "Exit", la recensione dell'album


Il cantautore torinese Fabio Caucino torna con “Exit” (Zanetti Records), il suo sesto album in studio, vuole tracciare un percorso chiaro, netto, fatto di parole come macigni, come pugni, senza doppi sensi, dritto per dritto. Talvolta la parte strumentale si sacrifica al testo, altre volte però è significativa, tratteggia un percorso sonoro esterofilo che affonda a piene mani nella musica anni '70, nel jazz, nel rock, nel funk, tutto molto accennato e personalizzato. 


“La stessa storia” si apre con elettriche anni ’70 e un mood curioso “bisognerebbe piantare degli alberi ogni volta che nasce un poeta, ritornare ad essere liberi…”, in cui l’autore ci ricorda, attraverso alcuni versi di Erri De Luca, che ‘viviamo tutti la stessa storia’, ‘tra paura e violenza’ e quanta forza ci vuole a lottare tra la perdita di valori. Percussioni afro e fiati incredibilmente jazzati impreziosiscono il tutto. Stesse sonorità vintage in “Rimango solo”, a tratti cacofonica; qui è la vocalità di Caucino che prevale sulla musica, ‘un libero arbitrio’, per sopravvivere, per cercare una nuova coscienza perchè Fabio è un cantautore che ci tiene molto a mandare dei messaggi.

“Voglio essere libero di poter restare zitto, ascoltare ciò che sento senza lacci, senza costrizioni”, chiaro e lampante, ed è un caos di elettronica, in cui l’assolo di elettrica entra in scena melodicamente e in maniera dilatata. “Dipingi l’anima” arriva lì con l’irrequietezza dei campionamenti in stile dub, vocalmente profondo come un Capovilla: “Una rotta lineare che attraversi le maree, un disegno essenziale, uno schema metrico, una trama verticale per scoprirmi libero”… la libertà, a cui il nostro non può rinunciare ad ogni passo di questo album.

In “Non una parola” la 6 corde è intrisa di mistero ed è la vera protagonista del brano come nel pezzo successivo, come se l’autore cercasse davvero quelle parole nuove di cui ha bisogno, un “codice”, un “linguaggio” per combattere la noia e vivere arte, cultura, per non appiattirsi in questa società che vive un momento fortemente sotto-culturale. “Verrà il giorno”… “in cui tutta questa brava gente darà un voto virtuale che non conterà più niente” e come dagli torto. E speriamo che ‘non servirà più studiare’. In questa ‘musica ribelle’ l’elettrica crea un assolo che fa da sfondo per poi prendersi la scena.

L’intro afro-funk di “Io cambio”, lo rende il pezzo più intrigante musicalmente di tutto l’album. Caucino non perde mai il piglio testualmente combattente, puntando il dito sugli omertosi.

“Tra frastruono e silenzio” ha un incedere ritmico più rallentato rispetto ai brani precedenti, quindi arriva meno all’ascoltatore: “Non dimenticare le mie parole, devono volare”… l’album si chiude con la delicata “Anima”, gli archi e il pianoforte come a congedarsi. ‘L’anima è fuori moda’ canta, prendendo in prestito i versi di Stefano Benni: “Io l’ho vista una volta la mia anima, mi era uscita di bocca e come il fumo di un sigaro mi ha chiesto se ero stanco di vivere ed ho detto sì”. Nient’altro...


Commenti

Translate