Marco Cantini "Zero moltiplica tutto" la recensione


Marco Cantini sforna il quarto album in carriera dal titolo “Zero moltiplica tutto” (RadiciMusic). Un nuovo lavoro intimista che però non resta ancorato a se stesso ma che parla di storie, di altri; un percorso rinnovato per il cantautore che qui collabora con Sergio Bardotti. L'album inizia e chiude con "Declino", declino della società attuale, di chi non lotta più, "e insegneremo la rivolta", forse una volta... Cantini omaggia chiaramente lo scrittore Stefano Tassinari. Chitarre piene e massicce si dipanano per tutto il pezzo con il sax di Claudio Giovagnoli che volteggia libero di esprimersi.

Volti, sguardi, sensualità. In "Modigliani" il nostro dipinge una tela delicatamente sonora riuscendo deliziosamente a congedare il famoso artista bohemien dalla vita terrena, con la consapevolezza di avere amato, di aver raggiunto l'ispirazione massima. E dove lo porterà "Ballon d'Essai", con le elettriche serrate dal sound medievale (interessante il divario) e i drums possenti: "Costruire il nemico straniero con la tua identità nazionale..." e Cantini canta dei migranti giunti nel Mare Nostrum in cerca di fortuna, quando invece sin dal momento cui partono sono schiacciati dagli oppressori.

"Poi stacco l'ombra da terra e mi allontano oramai dalla vita che ho visto, da chi siamo stati..." un 'testamento', o meglio un 'lasciamento'... 'l'itinerario di fuga'. Che non è solo quella fisica o dell'anima, ma anche quella di un popolo, come una sorta di proseguo del brano precedente. Gli arpeggi lasciano spazio alla voce di Cantini che si fa molto Niccolò Fabi. C'è persino un momento strumentale da benedire, con Francesco “Fry” Moneti al violino elettrico e Andrea Beninati che fa un gran lavoro con gli archi.

E' femmina il brano "Flora Tristan", una delle più note femministe già negli anni 20'-30'. Le sue peregrinazioni sono il primo tassello delle conquiste femminili... il manto tipicamente e semplicemente autorale non è un caso. Nelle strofe c'è tanto di De Gregori così come in "Fiori", la canzone dei ricordi, dove il flauto traverso incanta: "Babbo che importa di chi non c'è stato, di chi ci ha escluso da vivi e poi ci ha commiserato?"... 

Cupa è "Milionari di lacrime", quasi un paso doble. Difatti le chitarre mimano le sonorità ispaniche. Cantini canta la vita e la morte di Pablo Neruda, in parte avvolta dal mistero tuttora. Cantini tocca i temi antifascisti in "Aventino", ricordando la storica secessione dopo il rapimento di Matteotti, lo fa con la 6 corde morbida e sognante come gli archi, in contrasto con 'l'autobiografia della nazione'.

“Pra não dizer que não falei das flores” di Geraldo Vandré, diventa "Camminando e Cantando" grazie a Sergio Endrigo, unica cover dell'album. Il pezzo naturalmente più ballabile e suadente di tutto il disco, senza troppi orpelli, bello così com'è, minimal per quanto sia possibile. Il violoncello di Beninati cambia registro a "Madre", intriso di dolore per la grandissima perdita. 




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