Una delle pagine più toccanti del disco viene toccata in "Una punta di rosso". Il rossetto diventa emblema di ribellione e il canto tra i violini frenetici si fa fiero ed ironico. La forza del simbolo visivo (una donna che si mette il rossetto in cella) viene restituita con delicatezza ma anche con orgoglio: "Lurida cella proprio lì son finita..." parte strumentale che entra a dar respiro. In "Desaparecida" la memoria si fa cronaca storica: l’Argentina dei desaparecidos rivive in una canzone che si muove con dignità e compassione con il ritmo delle 6 corde vivo e raggiante. Guaiana alterna racconto e canto, intrecciando la propria esperienza personale alla tragedia collettiva. Il risultato è un brano lucido: "Ahy, la fine è assai vicina, vile, orrida, meschina, in assenza di reato, mai rimesso, mai pagato". Perchè la dittatura è così ed è sempre stata difesa pagando con la morte.
Un vero e proprio canto di autodeterminazione è “Voce”, probabilmente la canzone più vicina alla forma del canto popolare tradizionale. Pezzo infatti molto d'antan. La voce curiosa e appassionata diventa corpo, presenza, identità. La scelta degli strumenti (chitarre, fisarmonica, flauto) contribuisce a un’atmosfera a metà tra manifesto e dichiarazione politica. Molto belli i cambi di ritmo: "La mia voce, una voce per cantare, una voce... una voce per volare a parole...".
La denuncia in "I pappagalli e le bombe. No!" si fa aspra, quasi satirica. Guaiana attinge al libro "Pappagalli verdi" del compianto medico di guerra e fondatore di Emergency Gino Strada. Un brano che è una critica feroce alle aberrazioni della guerra, con un tono volutamente infantile e sarcastico, un ritmo tipicamente folk e un arrangiamento che gioca con il contrasto tra la leggerezza apparente e il contenuto devastante: non è un pappagallo quello che dei bimbi nei paesi di guerra si passano di mano in mano, ma una bomba, che li dilanierà. La successiva "A fuoco dolce" è volutamente la più triste senza mancare di ironia amara: una pausa più introspettiva nel cuore del disco che parla di trasformazione interiore, di consapevolezza e responsabilità personale. Perraro si mette a nudo, ma lo fa con pudore e tenerezza. La cucina come metafora della crescita personale è efficace e originale, conservando una dolcezza sonora tutta mediterranea: "Consumo la ricetta poco dolce, faccio evaporare finchè nulla rimane, metto finalmente nella dispensa vuota, rispetto, cura e tanta allegria..." così bisognerebbe prendersi cura di se stessi, con lo stesso amore.
"Land Grabbing Blues" dal sapore per l'appunto folk-blues, vanta richiami al Sud del mondo e al delta del Mississippi, ma con una radice ben piantata nelle lotte contadine africane e di rimando europee. Il lamento per la terra perduta si trasforma in riflessione sullo sradicamento. La slide guitar colora il brano di suggestioni oltreoceano: "Siede una vecchia al tramonto canta alla falce di luna mentre il suo sogno scompare...". E' una dolce ballata "Il folle di Gourga" che racconta la vera storia di Yacouba Sawadogo (1946-2023) agricoltore del Burkina Faso che ha difeso la propria terra dalla desertificazione. Il tono è quasi favolistico, ma la musica mantiene un passo deciso. Perraro canta un omaggio alla pazienza rivoluzionaria. Il disco si chiude con "La Sacra Quercia", in cui Guaiana racconta la leggenda della Treaty Oak con reverenza e poesia. Il brano è costruito con attenzione quasi cinematografica: le immagini scorrono nitide e scorrono tra arpeggi di chitarre e violini sognanti, la musica accompagna con discrezione. Una chiusura perfetta per un album che parla di radici, resistenza e natura umana.

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