Lontani sono i tempi
delle vittorie sanremesi per Arisa, dove nel primo caso con
“Sincerità” almeno giocava con l'ironia e nel secondo caso, con
“Controvento” dove ancora il suo paroliere Giuseppe Anastasi
faceva una degna figura. Per non parlare del disco “Amami” che si
avvaleva dell'ottima produzione di Mauro Pagani che, a nostro avviso,
ci ha messo dentro una buona dose di rivoluzione. Ma adesso, con
questo nuovo “Guardando il cielo”, Arisa delude le aspettative ed
è un grosso peccato, perchè ha una voce talmente elegante, serena,
che culla e che purtroppo si perde dietro testi banali, frasi fatte,
sentite e risentite, di un amore che adesso è una fortezza ed un'ora
dopo fa emergere tutti i dubbi dell'esistenza umana. Solitamente c'è
chi a Sanremo presenta il brano peggiore dell'album, o meglio quello
più sanremese, qui invece Arisa porta forse il migliore a ben
ascoltare gli altri, dove cuore non fa rima con amore. Poi si
scimmiotta un certo sound anni '80 ed un certo modo di cantare
dell'epoca, ma per il resto c'è ben poco, se non alcune frasi che
fanno pensare ai Modà, alla Tatangelo, a D'Alessio. E noi ci
chiediamo: perchè?
“Voce”: giochi
nell'intro, il piano è flebile e la ritmica è sostenuta,
velatamente anni '80: “Senti questa voce senti com'è in croce,
senti come il fiato piano se la porta via”...
“Guardando il cielo”
tra arpeggi ed archi, il brano di Sanremo è tipicamente una colonna
sonora perfetta per un cartone animato Dysney... “Viviamo tempi
troppo austeri in queste stupide città ma ho la certezza che ci sia
una realtà che va al di là di questa comprensione mia...”
“L'amore della mia
vita”: un pianoforte adagia alcune note su un sound etereo rispetto
ai precedenti lavori di Arisa, dove risulta più secca, ma il brano
si perde in monotonia e ripetitività stucchevole: “Io ritrovo in
te, da sempre per sempre l'amore della mia vita, l'amore della mia
vita anche se la linea del futuro è un foglio in mezzo al vento...”
“Fidati di me”:
l'intro è un po' “sintetico” con accordi in minore, a spiccare
sicuramente è la vocalità da usignolo di Arisa, ma il testo sembra
il continuo del precedente, con meno certezze sul rapporto di coppia:
“Fidati di me che sono un'imperfetta senza te, la vita va veloce
amore mio, servono certezze e servono carezze”...
“Lascerò”: ancora un
piano e ancora Arisa che si mette in gioco nei sentimenti con il suo
partner, che storia burrascosa avrà mai avuto? Arriva persino a
dire: “Io c'ho provato ma adesso solo chiacchiere e timido
sesso”... solo i Modà potrebbero fare peggio...
“Come fosse ieri”:
suoni artefatti anni '80 perchè si usa e difatti si risente una
sorta di Giuni Russo ma solo in certe sonorità, per il resto sarebbe
ingiusto fare un paragone: “Apri le braccia mi dai tutta la voglia
che dai, ritornerò da te per dirti quanto amore sei” ma si tocca
l'apice nella frase: “Mi riconoscerai dal taglio dei blue jeans io
spero che sia così”. Pare che sia nata da una sorta di incontro
con i Club Dogo.
“Una notte ancora”:
incursioni elettriche che virano il disco fino ad ora molto piatto,
nel ritornello c'è qualcosa alla Matia Bazar d'antan: “Sui miei
seni allora ti concederò una notte ancora...”
“Gaia”: “Muta in
aranceto il melograno, l'alba arriva a mezzanotte sopra la città”...
l'immagine visiva è in stile “le domeniche d'agosto quanta neve
che cadrà” dove si torna al piano e ad un ritornello con brutti
suoni d'archi in stile soul...
“Cuore”: la cover di
Rita Pavone portata al Festival di Sanremo è sicuramente la migliore
canzone del disco anche se non ci sono grossi stravolgimenti
musicali, anzi si riprende un po' il sound del tempo anziché
attualizzarla...
“Per vivere ancora”:
un piano, una bella fisarmonica, la deliziosa voce di Arisa, questo
nessuno può metterlo in dubbio, per un brano che ancora una volta
può essere il giusto sottofondo ad un film animato: “A piccoli
sorsi io bevo i tuoi occhi così mi ubriaco d'amore...”
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