Con la meritata vittoria degli Stadio, cala il sipario sulla sessantaseiesima edizione del Festival di Sanremo, la seconda targata Carlo Conti. Un'edizione più varia e con maggiore qualità rispetto alla precedente, che ha regalato almeno un pugno di canzoni da ricordare. Una edizione priva o quasi di satira politica, sin troppo corretta, dove lo specchio del paese è stato rappresentato dalla famiglia declinata all'acqua di rose e ai braccialetti colorati, dove il solo Frassica oltre alla canzone della Fornaciari hanno gettato uno sguardo doveroso sul sociale. Un po' poco, se pensiamo che negli anni, l'Ariston si è fatto portavoce di analisi lucide sulla realtà che ci circonda e teatro finanche di proteste per diritti civili. Tornando allo spettacolo in se, questo anno Conti è stato leggermente più coraggioso, meno nazional popolare e ha accontentato più fasce di pubblico. I numeri lo hanno premiato anche stavolta. Tra i suoi compagni, spicca per forza di cose, la variabile impazzita, l'eccellente, è il caso di dirlo, Virginia Raffaele, strepitosa, l'unica che ha dato un po' di vis sopra le righe, tra l'ingessato Gabriel Garko, a cui gli autori, sfruttando le gaffe della prima serata, sono riusciti quasi a trovare un ruolo e alla statuaria bellezza poco sfruttata di Maddalina Ghenea, valletta nel senso più classico del termine, fino alla fine. Per il resto Curreri e soci hanno vinto e meno male, la Michielin e soprattutto la pessima coppia assortita Caccamo e Iurato non meritavano di certo. Elio e le storie tese arrivati lontanissimi, dimostrano che i nostri hanno stavolta esagerato, più cabaret che canzone vera e propria, i loro ritornelli messi in fila. Male i Bluvertigo ma più che altro per i problemi vocali di Morgan, troppo poco Arisa, ottimi come avevano scritto ieri i brani di Rocco Hunt e Ruggeri, da non sottovalutare gli Zero Assoluto, nonostante la giuria non li abbia considerati, al prossimo anno.
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