L’Esilio
volontario di Freddie Del Curatolo è come un diario di bordo. E’ un viaggio più
che un disco, non necessariamente geografico. E’ un percorso prima di tutto
interiore che porta il cantautore italiano che vive in Kenya, a tracciare un
bilancio. Esilio volontario è un bisogno. Il bisogno di capire che il tempo ci
sfugge sempre o siamo noi a fuggire da lui, a scappare via dalle nostre colpe.
Per questo la casa di Freddie è una terra incontaminata, dove il tempo è un
bene prezioso, dove poter salvaguardare culture che conservano forte il senso
delle radici, le stesse che il mondo occidentale ha perduto. E lo fa con un
disco molto cantautorale che, grazie agli ottimi musicisti di razza coinvolti –
Mario Arcari, Armando Corsi, Vladimiro Carboni, Luca Silvestri, Pietro
Martinelli, Vittorio Alinari, Paolo Ercoli, Beppe Ardito, Nicola Pistolesi, Tina Omerzo – e a tante
partecipazioni, si veste di folk, ha venature etniche che però vengono tenute a
bada ed è un bene per l’intero lavoro. Un lavoro che è sì prodotto
intelligentemente da Stefano Barotti con Raffaele Abbate per la Orange Home
Records, ma che riesce inevitabilmente a coinvolgere l’ascoltatore da un punto
di vista emozionale, con un linguaggio ironico e malinconico, con la tenacia e
la consapevolezza di chi ogni giorno si alza la mattina per “cambiare lo stato
delle cose”…
“Taireni”:
inizia con una preghiera triste dei Mijikenda, etnia keniana, casa per Freddie:
“Il male oggi è scaglie d’oro che non scendono nella clessidra, cosa possiamo
raccontare ai figli, che sono altri figli ad ucciderti ogni giorno?”… chitarre
dolci e fiati come usignoli racchiudono in uno scrigno uno dei significati del
disco: “È di felicità che si deve morire…”
“Cronopatia”:
il sax è un invito alla batteria che sono i passi di un uomo che raccoglie il
tempo, goccia dopo goccia, per non disperderlo, per non far volar via i sogni
perché oggi non possiamo permettercelo, dobbiamo reinventare il nostro futuro:
“Malattia per cui la mente si pone come ente non ricevente, non ricevente, non
ricevente… Malattia per cui le ansie vanno via come il taglio della coda di un
serpente…” poi sono elettriche che entrano nel chorus, qualche effetto poteva
essere smussato.
“Valido”:
il folk di Paolo Ercoli donano un’aurea molto etnica al brano dal
sound cantautorale riuscendo ad arricchire questa vita frenetica: “Scade
l’affitto, scade il diritto, scade il tuo tempo e l’abbonamento, scade la multa
se non la paghi, le previsioni dei nuovi maghi…” ed è qui che si risente
maggiormente la cultura italo-africana del nostro…
“Mi
ha telefonato Tom Waits”: il pianoforte ricrea timidamente le atmosfere del
buon Tom e una ballad di chitarre e cori prende vita e non per nulla viene
citato “Closing Time”, di inebrianti poesie, di amori andati via con il tempo
che ne riporta a galla vecchie ferite. Una telefonata da un possibile alter
ego, da quella vocina infernale, che dopo tutto “non esiste il diavolo, è solo
Dio quando è ubriaco”: “E’ così ho sparato al dj, tre colpi nella notte di
Yesterday, tanto me l’ha detto Tom Waits, ispettore faccia lei…”. La seconda
parte si apre con un bridge di 6 corde che si scambiano sguardi come il binomio
Tom/Freddie e nel finale si può ascoltare anche una “voce familiare…”
“Il
saggio”: un titolo così non poteva sposarsi che con ritmi in levare. La voce
non è proprio congeniale al sound ma la sezione strumentale sicuramente
sostiene il tutto: “Non faranno mai di me un eroe, vendere o parafrasare le mie
idee (le sue idee) profili sociali, la condivisione, specchiarsi al mattino nel
mondo inventato da un altro coglione”… testo (a)social contro il mondo dei
network e l’uso che ne viene fatto.
“In
ritardo”: chitarre malinconiche con la seconda voce della cantautrice Claudia
Pisani che è una benedizione: “Arrivano scialuppe dal mare, qualcuno le ha
viste e i lamenti li porta via la schiuma”, “tra il dire e l’agire c’è di mezzo
lo sbando e il contrabbando”, una dedica la definiamo, agli sbarchi nel Mare
Nostrum, a chi fugge via da guerre, fame e religioni… noi fuggiamo via da
responsabilità. Una poesia in swahili unisce due culture mediterranee ed il
brano è uno dei migliori del disco…
“Cantautore di nicchia”: è un contrasto voluto questo pop
folk, “con nonchalance” Freddie canta il suo pezzo più melodico e trascinante
prendendo in giro il concetto stesso di cantautore indie, che oggi è stato
svuotato del suo originario significato:
“E la Brianza non è poi così lontana da Parigi ed ogni sera ritornare a toni sempre
meno grigi mi stanca un pò”… e giù di riff… “Il cantautore esiste finché
parlano di lui, in mille, in cento, in diecimila…”…
“La pianura di Cortina”: “Non togliere la maschera, rimettiti
la muta, non bere il vino è tossico, nemmeno la spremuta, la terra trema, la
terra trema ma non c’è nessun problema…” tra gli arpeggi Freddie con Stefano
Barotti che ancora una volta lo sorregge nei cori, ricorda le colpe dello Stato
italiano: “La terra trema ma la gente è troppo scema”, disamina di un popolo di
pecore. Il nostro è alla ricerca di una terra promessa, di certo non questa, in
cui cattivi medici propinano avvenenti medicine…
“Esilio Volontario”: palesemente autobiografico, Freddie
racconta sé stesso, in un perenne viaggio tra Italia e Kenya, due continenti
“tra il bianco ed il nero”, tra chitarre, giochi di parole ed una possente
sezione ritmica: “E’ un esilio volontario, un’assenza senza orario, è un
destino all’incontrario che incontrare ci farà…” e che per Freddie Del Curatolo
“è vita”.
“Venezuela”: il pianoforte si scontra con l’ironica
malinconia e viene ricordato ancora il terremoto dell’Aquila: “Cambierà lo
stato delle cose, cambierà l’America. Cambierà lo stato delle cose, cambierà…”.
Il piano e l’assolo di chitarra del maestro Armando Corsi sono specchio l’uno dell’altro…
Commenti
Posta un commento