Cesare
Basile torna con il “cuntu di li cunti”, il nuovo album “U fujutu su nesci chi
fa?”, ovvero “Il fuggitivo se esce che fa?”, la carta dei tarocchi siciliani
che non ha numero, che sfugge al controllo, la “Scusa”, racconta storie di una
terra, la Sicilia, figlia di contraddizioni, che conserva ancora bellezza e
paura, l'uomo che lavora la terra e invoca i santi in cielo, tra epica e
“patruna”. Chi ha rubato la nostra terra? Chi l'ha erosa, consumata. Dopo il
fortunato e magico “Tu prenditi l'amore che vuoi e non chiederlo più”, che gli
è valsa una Targa Tenco, Basile sfida le sorti, ci
invita a sedere intorno alle fiamme, ad ascoltare i gufi e la legna ardere, a
metterci i brividi di “cunti” antichi di “genti” che si è spezzata la schiena,
china al suo padrone, di nature ribelli, di uomini che hanno storie scritte nei
segni delle mani, di “fimmine” venute al mondo come se fossero sventure. E' un lavoro che prende le pieghe de "Le canzoni della Cupa" di Capossela. Bisogna entrare in queste fette di mondo per capirle. Ma in
“U fujutu...” c'è anche l'amore che muove l'uomo, l'amore che toglie le paure,
l'amore struggente. Un disco possente ma anche di non facile ascolto, che
sicuramente un figlio del Sud apprezzerà di più semplicemente perchè sono le
sue radici. Ad accompagnare Basile in questo viaggio “natio”, i musicisti:
Simona Norato, Massimo Ferrarotto, Luca Recchia, Sara Ardizzoni, Roberta
Gulisano, Guido Andreani, ma anche Rodrigo D'Erasmo, Marcello Caudullo, Enrico
Gabrielli, Giuseppe Rizzo, Gaspare Balsamo, Coppola Girls. L'album (etichetta Urtovox)
è stato registrato e mixato allo Zen Arcade di Catania da Guido Andreani.
“Scongiuro”:
suoni di treni che non arrivano mai, che non partono neanche dalla città
dannata, la voce di una donna anziana ha in ventre “sante creature”, segreti e
saggezza divina: “E allura si misi a fari troni e lampi...”
“Lijatura”:
il singolo gioca su sound rurali, percussioni dal sapore rudimentale...
strumenti scarni per un brano il cui testo è uno scioglilingua, quasi una danza
della pioggia, un “sortilegio”: “Comu ci pensi a ssi pinsati quantu pinsati,
chi granni quantitati di pinsati hannu i patruna. Pari ca nasciunu pinsati di
li pinsati e ssa pinsata fici gran pinsata a li patruna/Come ci pensi a queste
pensate, quante pensate, che grande quantità di pensate hanno i padroni, sembra
che nascano pensati dalle pensate e questa pensata ha fatto gran pensata dei
padroni”.
“Tri
nuvuli ju visti cumpariri/Tre nuvole ho visto spuntare”: battiti di mani
intorno a un fuoco, la caccia alle streghe, una chitarra nella penombra:
“Sapienza di lu padri e di lu figghiu, sapienza di lu spiritu santu...”, ma
diventa per 6 minuti una pesante litania tra tuoni notturni e fantasmi del
passato...
“Cincu
pammi”... “Mi fici lignu di mennula amara, n'à cincu pammi c'è tutta la scola,
n'à cincu pammi ci capi na vita, n'da cincu pammi di sfida...”, “passu pi
passu” la chitarra flebile, minimal i rumori... in cinque palmi quanti segni
della vita, quante spine. Queste sono le parole di un cantastorie siciliano,
qui c'è tutta la liricità di Rosa Balistreri e Cesare Basile riesce
perfettamente...
“Cola
si fici focu”: ancora battiti di mani, corde e sound africano: “Cola si resi
focu, focu ri casci, focu ri trusci, focu chi pari iocu/Cola si è dato fuoco,
fuoco di casse, fuoco di roba/panni, fuoco che sembra un gioco”, Cola è un
povero disperato che non è buono neanche a darsi fuoco, la vita di Nicola
quanto vale per lo Stato? E Cola brucia a mezzogiorno, ma qui non c'è la strega
di Dvořák che viene a rapirlo... Cola brucia a mezzogiorno se non poteva farsi
inferno...
“Storia
di Firrignu”: arpeggi ipnotici e la voce quasi sussurrata di Basile: “Foizza
assittatevi c'à cuminciamu/Forza sedetevi che iniziamo...” e parte il “cunto”
epico e tutti ascoltano Firrignu, uomo forte come il ferro, uomo vissuto, con i
segni nei “cincu pammi”... il brano è un piccolo gioiello grazie anche ai
diversi featuring; gli strumenti “rurali” creano riff e danzano una ballata, è
“una passione generale”...
“U
scantu”: tamburelli di taranta, di paura ed isteria, molto dark, ecco perchè si
sposa bene col testo... finale emozionante e un po' dissonante: “Ca quannu veni
u scuru ciuscia u scantu e quannu ciuscia u scantu veni u scuru/ Che quando
viene il buio scatta la paura e quando scatta la paura viene il buio...”
“U
fujutu su nesci chi fa?”: è una bella domanda che si disperde nel “solito”
sound nudo e crudo con i violini vagamente irish: “La giustizia cu la canusci,
quannu trasi e quannu nesci? Parapa parapa u fujutu su nesci chi fa?/La
giustizia chi la conosce, quando entra e quando esce? Parapa parapa il
fuggitivo se esce che fa?”... fa il burlone o si prende le sue rivincite, la
sua libertà, si prende gioco delle persone da cui scappa...
“Fimmina
trista fimmina nata”: un intro di batteria e tamburi... e una voce femminile
canta questa ninna nanna spettrale, che deve accettare di esser nata donna in
una società patriarcale: “Oggi mi fazzu scuru e timpesta”... “fimmina la matri
ca mi fici”, pura bellezza con l'elettronica che entra dalla seconda parte...
“Cirasa
di Jinnaru”: una chitarra, solo una chitarra si porta per mano questo ossimoro, una poesia
dolce e amara, come una ciliegia, una cirasa, in gennaio, bella ma acerba
“nuddru ti cogghi senza amaru/nessuno ti raccoglie senza amaro”. Quanto può
essere forte un amore, totalizzante... ma anche doloroso, sfuggente,
impossibile... c'è un uomo che parla con una ciliegia tra le mani, che ha paura
di cogliere, anche solo di sfiorare e gli parla come se parlasse al suo amore
“raro” e che forse non sarà mai suo...
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