La
vena “black” di Francess, animo italo-giamaicano, si risente
tutto in “A bit of italiano” (Sonic Factory), il suo secondo
album. Si tratta di una selezione di brani storici della musica
italiana, da Buscaglione a Dalla, da Ruggeri a Jannacci che vengono
riarrangiati in chiave elettronica. Un lavoro che è fatto bene,
anche se alcuni suoni risultano eccessivi e comunque il disco ha
tutti i limiti del caso. Purtroppo non è facile riprendere capi
saldi dei grandi artisti di casa nostra, il paragone è dietro
l'angolo come l'uso e abuso dell'elettronica. Allora che fare?
Stravolgere e dare un nuovo senso a canzoni che canticchiamo
quotidianamente.
Da questo punto di vista Francess ha centrato
l'obiettivo anche se l'album non ha un vero filo conduttore, si passa
dai Matia Bazar alla tradizione genovese. Altri riarrangiamenti sono
invece un po' piatti, perchè non è facile adattare la vocalità
calda ed internazionale della corista di Zucchero a brani così
diversi tra loro, che vanno dal cantautorato tipicamente made in
Italy al pop. Alla fine del disco, una “Guarda che luna” english
(come il cognome di Francess) è una bella versione acustica, da
preferire alla prima traccia. Ma c'è da dire che alla giovane
artista l'electronic sound si addice molto.
“Don't
want the moonlight”: la più nota “Guarda che luna” di
Buscaglione diventa scaltra, elettronica, più aggressiva ma meno
suadente della precendente: “Guarda che luna, che mare, che luna”,
in italiano solo nel finale.
“Vacanze
romane” (english version): spaziale come il precedente ma solo
nella prima parte, nel chorus il piglio, l'intento è quello della
Ruggero ex Matia Bazar. Bisogna però avere una “mente aperta” ad
ascoltare la nuova veste di brani “cult” come questo, solo così
si potrà apprezzare le sfumature anche piacevoli che Francess dona
al lavoro.
“Attenti
al lupo” (english version): 6 corde e synth qui per dare nuova
lettura e nuova linfa al pezzo di Lucio Dalla che nella versione
inglese non banalizza il testo anche se quel “attenti al lupo”
del coretto è più macchiettistico che altro.
“Il
cielo in una stanza” (english version): eterea con i campionamenti
messi lì a donare ombre e luci, dove però la voce di Francess poco
penetra lasciandosi cullare dal ritmo.
“Good
Fella”: l'unico inedito del disco che comunque si sposa col
contesto visto che è un inno all'italianità, una sorta di moderno
“Mambo Italiano”, tra “Tarantella” “Presidente” e “Pasta
al dente”. Sempre in inglese, accattivante, ma certe sonorità
“piene” risultano troppo ridondanti con una cantilena che, se da
un lato è riconoscibile, dall'altro appattisce il tutto.
“What
women never say”: “Quello che le donne non dicono” di Enrico
Ruggeri, portata al successo da Fiorella Mannoia, nel ritornello ha
un'evoluzione molto soul dove Francess addirittura dona un suono
diverso alle finali delle parole attribuendo al pezzo una sfumatura
inedita.
“Passione”
(english version): la canzone interpretata da Neffa è stata
abbastanza stravolta nella sostanza. La parte ritmica flebilmente
techno e le aperture nel chorus non aiutano ed anzi si perde un po'
la delicatezza stanca dell'originale.
“Vengo
anch'io no tu no” (english version): Jannacci in modalità
charleston anni '20 ha un piano dissonante e cupo, con fiati troppo
possenti. Le parti più minimal infatti sono decisamente più
intriganti.
“Ma
se ghe penso”
(english
version): la storica canzone in dialetto genovese baluardo della
musica ligure qui presenta violini eterei che fanno respirare il
brano, disincantato anche se la voce della nostra è molto decisa,
ferma, riuscendo di contro a dosare bene le note più basse. Bisogna
però dimenticare il cuore della più antica Ma se ghe penso, perchè
non rimane la bellezza della pronuncia per un testo che è poco
sensato tradurre.
“Don't
Want the Moonlight” (acoustic version): la prima traccia in
acustico forse è più tradizionale ma più potente, bella,
flessuosa, con la ritmica tanghera da ballare.
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