Un
ritorno
alle braccia materne, per placare i tormenti, a viso scoperto e senza
paura. Sabrina Napoleone riappare per viziarci in “Modir
Min” (pubblicato da Orange Home Records), riallacciando un cordone
ombelicale con le sue origini per cercare pace, per trasformare
istinti primordiali, dolore intrinseco. Per urlare e buttare fuori un
mondo. Una delle anime del Lilith di Genova, festival della musica al
femminile, in questo album si muove tra una predisposizione al
teatro-canzone, l'inquietudine del post punk e la poliedricità della
new wave, già peraltro messa a nudo in “La Parte Migliore” che
gli valse una finale alle Targhe Tenco nel 2014. Nell'essenza, in
“Modir Min” c'è una trasvalutazione dei valori, come in
Nietzsche. Seppur nella molteplicità di suoni ben dosati, c'è una
connotazione molto forte che non fa smarrire l'ascoltatore ma che, al
contrario – nonostante i contenuti chiari e netti di distruzione
della società e di perdita di identità – lo rassicura. Quasi lo
culla. Un paradosso, una beffa talvolta, un'allusione che vede la
produzione della stessa Napoleone con Giulio Gaietto e la
collaborazione di Raffaele Abbate.
“Modir Min”: le
incursioni taglienti dell'elettrica e i tom che marciano tribali
rivestono “Madre mia”, un filastrocca islandese che la Napoleone
rende meno inquietante della tradizionale ma non meno turbata. E come
nella copertina del disco, l'autrice torna bambina tra le braccia
fidenti per ritrovarsi e proteggersi.
“L'Oro”: i bisbiglii
di un “caos calmo” nel singolo “Buongiorno amore, buongiorno
amore, ho fatto un sogno eravamo io e te... eravamo un po' più
vecchi ma eravamo io e te e viaggiavamo su un mezzo pubblico
blindato” di ossimori cupi post punk e post apocalittici: “Mentre
guardavo fuori oltre la feritoria intravedevo la città, c'erano
guardie armate davanti ad ogni porta”. La voce di Giulio Gaietto fa
giustappunto da contraltare a questa, visivamente più razionale e
per questo più angosciante, “shock in my town”, dove i synth e i
loop di batteria feriscono “... e tutti avevano paura”, fino ad
accompagnare il brano nella seconda parte, elettronicamente
strumentale in cui spazio e tempo si annullano.
“Nel giorno di Natale”:
una foto datata, sbiadita, dove trapela una felicità apparente,
viene messa in risalto dalla viola di Osvaldo Loi. Ma non sono altro
che sound cacofonici e inizialmente in sordina coperti dalla batteria
possente a celare appositamente la liricità e la bellezza della
seconda parte di musica e parole: “E come dentro quelle palle di
vetro che se le giri fai cadere la neve, viviamo chiusi come tutti
gli altri che non conoscono né guerra né fame”... e siamo
“animali impazziti” in una giungla chiamata democrazia. Godetevi
il finale...
“Creatura di rabbia”:
la sezione ritmica fa scivolare via “un tormento che è di brace...
non ti sai abituare a questa gabbia, mia adorata creatura di rabbia,
non ti sai abituare a questa gabbia, scavo scavo scavo nella
sabbia...”. Le incursioni della malinconica viola apre ai coretti
con la cantautrice Cristina Nico e alla vocalità tiratissima della
nostra che “grida e scalcia” contro ogni tabù.
“Resilienza”: se c'è
un termine che racchiude “Modir Min” è proprio questo. L'intro
arpeggiato della 6 corde di Marco Topini e la precarietà nella
voce: “Sapevo che sarebbe arrivato il momento di fare tutti i conti
con i fantasmi del passato. Non si attraversa il fuoco indenni,
qualcosa se ne va nel fumo e lascia dietro odore di bruciato. Non può
proteggermi quella qualità speciale che ho rivisto dentro gli occhi
del mio cane, quella forza che non puoi arrestare delle donne di
Kobane”. E così, armata della sua teatralità, Sabrina Napoleone
si lascia attraversare dagli archi e dalle urla strazianti di chi
“impara dal dolore”. Brano minimal, intenso, lacerante, che nel
finale si ricollega alla title track: “Tu non andare via dolce
bambina mia” e commuove.
“Elective
Test”: il solo brano dell'album prodotto
in collaborazione con Isolaris, ovvero Osvaldo Loi e Riccardo
Barnieri, è un manto elettronico soprannaturale perchè siamo cavie
da laboratorio dentro una grande Matrice: “Il soggetto numero 3 si
è dimostrato collaborativo. Buona la predisposizione a raccordarsi
con oggetti a lui familiari anche in assenza di uno scopo evidente”.
Sound che riporta gli anni degli Scisma e dei Soerba all'era dei
“Social Network”.
“Il
business dei primati”: un gioco di parole efficace che procede tra
i loop e i tanti amici che si prestano a... raccontarsi e prendersi
in giro: Cristina Nico, Valentina Amandolese, il cantautore Max
Manfredi, Giulio Gaietto, Stefano Bolchi, Fabio Ricchebono, Serena
Abrami, Andrea Podestà, Jess, Doremiflo, Giorgia D’Artizio, Sara
Sgambelluri, Tiziana Pedrelli, Lidia Sciarrone, Loriana Tomassetti,
Valeria Grasso, Bettina Banchini, Carlo Ponte e Pier Adduce. Sì
perchè “il cantautore vecchia scuola canta di puttane, il
cantautore nuova scuola canta “Cono gelato””. Il parlato in
salsa trap, con tanto di citazione della Dark Polo Gang, è stata
creata ad hoc per deridere quelli che oggi vengono definiti, anche
dagli stessi cantautori di razza come “i nuovi cantautori”,
ovvero i rapper e gli you tuber. A chi lo pensa, anche a certa
stampa, il consiglio è quello di uscire dagli schemi per guardare
altrove. Il brano è il più puramente rock di tutto il lavoro.
“La
ballata della moda”: mantenendo la forma e la sostanza
dell'originale di Luigi Tenco, scritta nel '64 in pieno boom
economico, mass media e pop art, la canzone descrive nella lucidità
di chi vede lontano, una società che ben presto sarebbe rimasta
schiacciata da una cultura usa e getta. Allo stesso modo, Fabrizio De
Andrè, ma esattamente 10 anni dopo, dissacrò questa volta il
concetto di amore in “La ballata dell'amore cieco”. Con i cori di
Raffaele Abbate e Giulio Gaietto, “Antonio tra se rideva
ahahah-ahahah, diceva me ne infischio della moda io bevo solo quello
che mi va”, le elettriche sono in levare nella strofa e nevrotiche
nel chorus.
“Solo
spazio”: “E sul tuo taccuino annoti domande, cancelli risposte.
Lasciamola stare la santa ragione a chi ha spazio sul petto. Per
molte medaglie, per poche carezze dov'è che ti aspetto?”, intro
minimalista su cui si adagia un raid elettrico. E' tutto sospeso qui,
nei deserti dei pensieri “per farne racconto”, tra synth
cinematografici: “E' solo spazio, è solo spazio... non ti
domandare dove andiamo” a chiudere uno dei migliori album
dell'ultimo anno che dimostra come il cantautorato sia decisamente
donna.
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