Killing Matthew – Addio nemico mio


I Killing Matthew sono formati dal marchigiano Jacopo D’Andreamatteo e dal lombardo Luca Servodio che da Grenoble debuttano con l’album “Addio nemico mio” per l’etichetta La Stanza Nascosta Records. Un disco italo-inglese abbastanza maturo nei testi, nelle musiche, soprattutto nelle sonorità più blues e nelle ballad, mentre sembrano meno a loro agio nei pezzi più puramente cantautorati vecchio stampo. La loro poetica funziona, l’importante è non tirare troppo la corda o “cantare alla”. Perché i due sono bravi così, semplicemente. Chitarra, voce e poco altro, non troppo spogli e non ridondanti, dimostrando intelligenza nella scrittura. L’unica vera “grana” del lavoro discografico sono i suoni poco curati. In fase di produzione la timbrica dei suoni è una delle cose su cui bisogna prestare molta attenzione, soprattutto oggi con il digitale che sostituisce (e sopperisce) l'analogico.

“Gocce” è un estraniarsi dal parlottio tutt’intorno, chitarra arpeggiata e voce intima per “un uomo con addosso la paura e l’incertezza di prender la misura”. Jacopo e Luca mettono su la poetica dei cantautori storici. Qui si può risentire un De Gregori d’antan, mentre in “Naples Jazz” con testo in inglese, la 6 corde intraprende arpeggi e ritmiche essenziali ed è bella la vocalità intensa; nonostante sia un omaggio a chi ha elevato i linguaggi partenopei a blues internazionale, ovvero Pino Daniele, in realtà è una ballad in piena regola. L’equalizzazione dei suoni non è proprio perfetta, facendo sembrare questo scambio tra i due una sorta di home recording. Blueseggiante invece è “Mr Ford”, con spinte funky nell’elettrica distorta. Un altro testo english che sembra non aver bisogno di nient’altro che di un microfono e di un buon assolo… e probabilmente anche di qualche slide che si sarebbe sposata bene nel contesto. 
A loro agio con l’inglese, procedono invece con “Lasciami andare” meno funzionale melodicamente, semplicistica nell’insieme, che gioca molto con gli accordi in minore in un’altra ballad in cui “Oggi non ho voglia di essere saggio ed è con garbo che t’offro la mia benedizione”, un testo con tanti rimandi ancora una volta poetici. In “LaMotta’s Blues” colpiscono duro, è proprio il caso di dirlo, su una chitarra triste, perduta tra i ricordi. Il brano, spoglio della gran parte della sezione ritmica, comunque risulta il migliore dell’album, è old school, urla… peccato per la timbrica dei suoni poco corretti. “A che ti serve un cuore se a ogni palpito pensi al grammo che hai perduto?” i Killing Matthew se lo chiedono in “Mia Lucciola Smarrita” in “un tavolo di un bar” magari accanto ad un romanzo di Albert Camus per trarre ispirazione… o per farsi del male e quindi inveire. Belle le spinte dell’acustica in questo pezzo in cui entrano solo i cimbali di un tamburello… per un finale strumentale che respira. 
“Le donne che passavano” rimanda per forza di cose a “Les passants” di Georges Brassens poi reinterpretata da Fabrizio De Andrè nella versione italiana. Ma in quel “Eran solo ragazze, credutesi donne nell’attesa” la voce impostata non convince appieno. A corollario la  ferita di un violino, in sottofondo un giradischi antico… la bellezza si ferma qui e in “No color” novelli Simon e Garfunkel. L’eterea chitarra, gli arpeggi che riempiono senza mai risultare ridondanti donano colore a terre aride, a bombe, a morti di guerre inutili. I Killing chiudono con “Ottobre” e per il vero ci siamo quasi, con il caldo che ancora resiste ed un pianoforte autunnale, in punta di piedi: “Facendo finta di dormire era bella quella canzone che faceva na na na na na”… Voce e piano sono troppo bassi rispetto ai brani precedenti. Questo è un neo per l’album che merita nelle atmosfere, nella strumentazione, nelle belle idee.


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