Pith, la recensione dell'album omonimo


Il cd dei Pith è un tentativo coraggioso di perpetuare la tradizione, tutt’altro che peregrina, del free jazz in Italia. In un periodo come quello che stiamo vivendo, in cui le scelte musicali sembrano adeguarsi al comodo sofà della piacevolezza a tutti i costi, della pedissequa imitazione di nuovi stili musicali, legati però esclusivamente al business, un disco di vero free jazz non può che essere accolto come una ventata di libertà, appunto. 

Chi scrive ha l’età per ricordare gli antesignani di un modo libero di esprimersi in musica: dal ribelle Schiano all’intellettuale Gaslini, passando per Gaetano Liguori e, per certi versi, gli amati Area. Ciò che distingue la proposta dei Pith (OrangeHomeRecords) dal free di quell’epoca è la inevitabile commistione di musica e politica che, a quell’epoca, permeava molta della produzione non solo d’oltreoceano (Coleman, Shepp, Ayler) ma anche europea e che, adesso, in un mondo globalizzato, dominato dal capitalismo e dall’alta finanza, si ripropone sotto una nuova luce: una voce tonante che rivendica creatività ed innovazione tout court, senza scuse, senza motivazioni che non siano strettamente legate alla musica. 

Coraggio, quindi, che rende già evidente “l’utilità” della proposta dei Pith, prima ancora di analizzarne i meriti musicali e stilistici, che sono tanti. Tutti i brani sembrano rispondere, pur se in un mood di libertà espressiva, ad una sorta di “sezione aurea” musicale, un equilibrio armonico e ritmico che, oltre a mettere in risalto le capacità tecniche dei componenti del gruppo, dà la sensazione di un’ammirevole compenetrazione tra vuoto e pieno, tra yin e yangCome in una sfera perfetta, questo pianeta sonoro procede tra le sue dissonanze, il suo pulsare è un ritmo ancestrale come la nascita della vita. 

La formazione, priva di pianoforte, non fa che evidenziare luci di sax e chitarra, appoggiate da contrabbasso e batteria, in un continuo alternarsi di progetti armonici e coloristiche visioni. Da “Folding orange episode” a “Like drops” sembra che il corpo smembrato di Osiride si ricomponga lentamente, per poi fuggire verso nuove, lunari dimensioni. Tutti i dieci brani del CD mantengono la magia iniziale, mai un tentennamento, una caduta di stile e questo, grazie alla perizia tecnica dei quattro musicisti (Andrea Bazzigalupo alla chitarra, Jean Marc Baccarini ai sax, Michele Anelli al contrabbasso, Lorenzo Capello alla batteria), ai quali va un plauso “free”, come la libertà. Viva la Musica.


[ Claudio Forti ]

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