manzOni - si aspetta l'inverno


"... si aspetta l'inverno" cercando di allontanarne l'arrivo il più possibile e allora i manzOni "immaginano" riflettendo sull'esistenza e sulle sue diverse fasi, "rallentando" opportunamente, restando lucidi, osservando "orizzonti" nuovi,  dopo che gli alberi sono caduti e altri ancora ne dovranno venire, mentre ineluttabilmente "si cambia", "si matura", "si invecchia"... "si aspetta l'inverno"...  in compagnia dei ricordi, di immagini impresse nel tempo, di fantasie, con ironia amara e disincantata ma assolutamente centrata, perchè ha garbo e raziocinio, ha rabbia e impotenza, ma la speranza è sempre ben visibile, ancorata al futuro, nel tentativo stesso di "rallentare", nel cogliere il sorriso della gioventù che avanza, nella dolcezza delle rughe della vecchiaia, negli ideali che non moriranno mai, nonostante tutto. Luigi Tenca e compagni "regalano" è il caso di dirlo, visto che l'album è in free download, nove canzoni che hanno le stigmate della sincerità, dell'arte vera, senza compromessi. Un album di grande trasporto emotivo, non solo per la poesia senza fronzoli ma capace di arrivare a pancia e cuore in maniera indistinta in un attimo, ma anche dal punto di vista musicale, dove la band vira su sonorità alt/post rock abbinate a un sound tipico anni '70.  Andando ad analizzare i brani,  si entra subito nel mood dell'album con "Lento": calda, viscerale, "un mare calmo senza onde ti porterà al tramonto" una sorta di mantra oscuro, blueseggiante, psichedelico, ricco di fascino, con le chitarre incisive "intanto il passato diventa più lungo". Si prosegue con "12/11/1994": "la grande piazza diventa bella come una rosa rossa appena sbocciata e fa bene non sentirsi soli almeno per un giorno ma tutto finisce anche una rosa rossa alla fine sfiorisce la piazza si svuota" ipnotica atmosfere da canzone d'autore anni 70 con tanto di coda strumentale dilatata, sulla fine del comunismo esplicitato dalle piazze ora vuote. "Manca il ritorno": l'altra faccia di "Lento", decisamente più ironica, a tratti sprezzante: "e mi immagino che prima di dormire di un libro tu leggi solo la copertina, ogni notte ricominci e leggi ancora quella" parallelismo tra stanchezza quotidianità e scorrere inesorabile del tempo: "e mi immagino che ti mancano bicipidi, tricipidi, respiro, quando fai sesso con l'unica donna che ancora ti sopporta". "Vittorio": "me lo immagino in compagnia della sua storia d'amore e di una notte lunga da passare" commovente e delicata storia di un uomo anziano che ha perso la sua donna visto "da chi non lo conosce da più di 70 anni" con venature psichedeliche a conferire ancor più intensità al corpus. "Il suono di un bacio": che sembra essere quasi il continuo a livello testuale della traccia precedente, mentre la tensione musicalmente è data tutta dall'attesa: "e mi immaginano che ti svegli prendi il telecomando e metti su la telenovela che seguivi come quando preparavi la cena per due ogni sera, sempre diversa". "Com'è": piglio deciso e ironico, con un gran lavoro di "grattuggia" di chitarre, abilmente messe in sottofondo, come un Giorgio Canali opportunamente "rallentato" per intenderci:   "...e dimmi, da quando non sorridi?" "Un bel discorso": ipocrisia da funerale, sorretta da un testo magnifico: "oggi è morto Ettore che io non  ricordo così, quel che dice il prete non è vero, lo ricordo fascista, infedele, nervoso, io ricordo che tradiva sua moglie e che mi ha licenziato". "La festa": parte acustica per chitarra e voce per poi presto diventare una incendiaria marcetta irriverente "Domenico ride come sempre ed è morto da poche settimane e guarda il culo a una cugina morta di tumore". Chiude "(inverno)": tra opportune parentesi e oscillazioni sonore, traccia interamente strumentale, come a riavvolgere il nastro. Chi ha già compilato le classifiche dei dischi migliori di questo 2014 si è perso una perla.

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