Raphael Gualazzi - Happy Mistake



Di Gualazzi ci stupisce il fatto che a 31 anni è un musicista già con una impressionante esperienza e questo lo si può sentire tra i tasti del suo pianoforte più che nella sua voce così particolare, così armoniosa che dal vivo ancora magari (vedi Sanremo) deve “aggiustare il tiro”. E Caterina Caselli c'ha visto giusto. E questo "Happy Mistake" ridà al musicista di Urbino giustizia. Non che i precedenti episodi discografici non fossero all'altezza, ma qui probabilmente (lo speriamo) si potrà scrollare dai falsi paragoni mediatici con  Sergio Cammariere o Ivan Segreto”. Cancellato invece il fatto che sia figlio d'arte. In “Happy mistake” insomma Gualazzi ci mostra il suo vero volto, al di là quindi di Sanremo, che non si ferma al lezioso jazz, ma che recupera la tradizione del ragtime e dell'harlem stride piano di James P. Johnson, l'antesignano di... tutto. Raphael ci ricorda anche il blues di New Orleans, mescolato con uno Steve Wonder nei suoi migliori anni soul o meglio Ray Charles e poi, oggi, vogliamo metterci dentro un leggero funk?

“Don't call me name”: ecco cosa volevamo dire quando parlavamo di tradizione ragtime con una performance vocale in pieno stile soul. Ne esce fuori sicuramente il miglior Raphael Gualazzi.  Disco prodotto magistralmente va detto, con l'uso dei suoni davvero ottimale (beh è una major!), con lo zampino di Officine Meccaniche che ha curato il mixaggio. Il piano su tutti, poi i fiati (sempre quel Fabrizio Bosso) e la sezione ritmica...
“Don’t you ever call my name, ‘cause you dropped me on the road when I was, down and out from life...”

“L'amie d'un italien (Rainbows)”: ritorna il classico piano ragtime in un pezzo che ci riporta ai varietà francesi anni '20, non per nulla è presente il featuring della cantautrice francese Camille che dona chanson alla Josephine Baker, nonostante il brano sia in inglese. Potente la voce di Camille, qui vi è maggiore dominanza della sezione ritmica. Il brano contiene, ma questo lo si scoprirà alla fine... una curiosa sorta di ghost song...
“Tell me, how can I see all the colours of the rainbow? If you don’t stay right here with me, I ain’t got, no chance to be...”

“Sai ci basta un sogno”: uno dei due brani che ha portato a Sanremo e che ha passato il turno secondo le modalità di voto di quest'anno. Un brano che rientra nei “canoni” sanremesi, in minore, con un bel testo ed una melodia più pop... anche il piano si arrende nella prima parte per poi svegliarsi nella seconda con il suo saltellare “sincopato” ma noi lo preferiamo altrove...
“Se solo avessi potuto cambiare il mondo, all’improvviso, avrei asciugato le nubi in lacrime per la tua gioia...”

“Senza ritegno”: riascoltandolo in disco, il brano probabilmente meritava di più il palco dell'Ariston, ma il lungo ritornello che richiede uno sforzo vocale ed un fiato non indifferente, dal vivo non premia Gualazzi. Ascoltandolo adesso, a parte il rabbioso testo sulla presa di coscienza del mondo che viviamo contro chi è ceco, assume un'altra veste. Ricca la sezioni fiati...
“Hai visto coi tuoi occhi e pianto con i miei. Non c’è vergogna se non quella di una cieca acquiescenza per viltà, per viltà...”

“Baby what's wrong”: un altro inizio sincopato in levare per un pezzo molto delicato ancora in inglese e la sua voce si fa più sottile e Ben Harper fa scuola! Il brano non si evolve ma va bene così, mantiene la sua bellezza fino alla fine... in sottofondo si può ascoltare l'ukulele...
“A year has gone and really it seems like yesterday. On a sunny day, I might have spent with you...”

“Seventy days of love”: un salto negli anni '70 pre-dance e la sinuosità della voce di Gualazzi accompagnata da una chitarra che accenna un tenue funky stupisce... breve assolo di piano sul finale dove anche la tromba si mostra nella sua semplicità... perdonateci l'accenno ai Jamiroquai di “Virtual insanity”, non volevamo...
“Seventy days and seventy nights of love are not enough for, not enough for...”

“Un mare in luce”: intro swing e c'è da dire che Gualazzi riesce anche in italiano a donare classe alle sue creature. La forza di questo giovane musicista, oltre la musica che recupera la tradizione e la miscela con i ritmi odierni, è la capacità di scrivere dei testi senza fronzoli, molto ironici, che in modo perfetto arricchiscono la musica e non viceversa come spesso accade nella musica italiana. Paolo Conte ad esempio, ne è un padre fondatore...
“Se ti incontro un giorno che non piove io ti sposo e non dire no che son tre vite che non riposo...”

“Improvvisazione su temi di Amarcord”: un inizio rotiano... e lo dice il titolo stesso.... anche nel suo divagare mantiene una forte influenza ragtime per sfociare in un finale classico in un omaggio a Nino Rota e Federico Fellini... ah, m'arcord...

“Beautiful”: armonioso binomio tra i bassi delle corde vocali di Raphael e i tasti della sua Yamaha. Un altro testo in inglese dove torna a farsi sentire l'influenza anglo-pop sia nel dosaggio del piano che della batteria e e del basso. Il bridge fa molto Blur/Oasis...
"People spend their time to reach and get, I’ve been gold and blind end I forget...”

“Mambo soul”: il titolo ci svela di cosa si sta parlando, anche se nel ponte il musicista si ferma, pensa, colora con pastelli jazz e Fabrizio Bosso con la sua tromba dipinge sulla tela un tipico mambo...
“Vorrei perdermi in balli che non so all’ombra dei vespai, realtà non mi avrai mai...”

“I'm tired”: il soul è qui che prende vita ed ancora una volta Gualazzi ci riporta indietro di 40 anni... ottime le sonorità, la batteria si fa, per la prima volta, possente... puntuali nell'insieme i cori dello stesso artista... e dov'è la stanchezza?
“One of those days I was coming back home and I had the desire to hold you in my arms...”

“Questa o quella per me pari sono”: dalla storica musica di Giuseppe Verdi, il nostro riarrangia con la curiosità che caratterizza ogni musicista che si approccia alla maestosità di Verdi. Il brano, tratto dal Rigoletto, forse, nella versione di Gualazzi lascia un leggero sapore di “musica da matrimonio” nel corpo... però su un finale in tipico harlem stride, il piano si risveglia anche grazie al basso ed alla chitarra (per la prima volta in un assolo).

“Welcome to my hell”: un brano che proietta lo sguardo al blues anni '40 in un crescendo country grazie al trio italo-londinese delle Puppini sisters. Qui la voce di Gualazzi, non sappiamo se volutamente o meno, ha una somiglianza impressionante con quella di Robert Johnson... un chiaro riferimento l'inferno, al patto del diavolo fatto dall'antesignano del rock and roll? Il brano è stato registrato a San Francisco...
“Good morning mama you know I’m going down this big road by my self...”

“Luce (Tramonti a Nord Est)”: la prima delle due bonus track, è il brano di Elisa (vincitore del festival di Sanremo 2001) che proprio nel recente 63esimo festival della canzone italiana Gualazzi ha reinterpretato e riarrangiato. Un semplice brano pop (e qui di sicuro c'è anche la mano di Caterina Caselli, visto che Elisa ha un contratto con la Sugar) che il musicista ha completamente stravolto in versione jazz... e, al dire il vero, la preferiamo di certo all'originale... prepotente l'assolo di piano...

“Rainbows”: altra bonus track che è una copia similare di “L'amie d'un italien” solo senza Camille...probabilmente delle canzoni ne esistevano due versioni... da apprezzare entrambe...

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