Un suono caldo, avvolgente, più rotondo, pulito e compiuto, diverso per certi versi dal precedente “Dei Cani” che
vedeva come deus ex machina dietro Fabio De Min ovviamente Giulio Ragno Favero
che mette mano, pulsanti e cuore anche su questo “L’amore fin che dura”che non è
un concept ma ci manca poco, si può parlare infatti di un disco di amori al
copolinea che si evolvono in fini più o meno dignitose che spesso trascendano
nella quotidianità, nel tradimento se non nell’omicidio o narrate sotto forma
di ricordi in una realtà metafisica a tratti, letteraria di certo. Elegante, di
ampio respiro, ineccepibile sotto ogni punto di vista “L’amore fin che dura” è
o quanto meno dovrebbbe essere, (come i Non voglio che Clara dovrebbero, se
l’Italia fosse un paese normale) rappresentare “la canzone d’autore italiana
per eccellenza” quella Dop, da
preservare con infinita cura, perché come i nostri, nessuno negli anni ne ha
riannodato i fili nel nome di una “classica modernità poetica” con tale
spessore e con costante miglioramento… e a dirla tutta, era già difficile fare
meglio rispetto agli esordi… per Fabio De Min oggi, questa nostra
considerazione valga come un ennesimo plauso, visto che a nostro parere "L'amore fin che dura" è il parto più compiuto dei Non Voglio che Clara:
“Il complotto”: Tra citazioni di
Bukowsky e Battisti, elettronica leggera e melodia che prende subito, a
scrutare un presunto tradimento: “e passi in rassegna le sue lettere nascoste
su un ripiano, fra le pagine di un libro in cui si confuta la tesi del
complotto, e cerchi con la coda dell’occhio, fra le pieghe di un letto
disfatto, fra gli stampi sul cuscino e le lenzuola, un lato intatto.”
“Le mogli”: semplice nel suo essere immediata, geniale nelle immagini
consuete che diventano significanti di altre immagini, con infinita classe e
altrettanta orecchiabilità, di sicuro effetto:“L’amore è fin che dura, poi
resta la paura e a ottobre tolgon tutti gli ombrelloni e le mogli tornano dai
parrucchieri, poi si sposano fra i rovi di un cortile, dimentiche dei propri
fallimenti e di ogni distrazione”.
“Le anitre”: Tra echi Battistiani
e passaggi ritmici anni 70 a reggere il pathos: “E tu non sei coraggiosa che un
quarto di quel che credevi. Son finite in fretta mille scuse delle mille che
avevi”
“Gli acrobati”: mood popolare con la chitarra acustica portante e
trombe a far risaltare e violini a struggere ancor più l’atmosfera: “questa è
la strada che porta da te, ero di casa là, ma la tranquillità ora vi abita. Chi
se la ricorda più casa tua com’è e quanta strada c’è fra noi due.”
“La sera”: con la chitarra a punteggiare, il brano ha una sua ritmica
interna, pulsante, che vive di melodia ariosa e complice, che ben si dipana tra
le immagini suggestive tra suggestioni temporali: “Immagina una macchina del tempo, non tanto
per rifare tutto ma per osservare ogni dettaglio, fotografare bene ogni tuo
sbaglio e cancellare ogni sospetto se dicevi -amore mio, torno tardi stasera-“
“L’escamotage”: ”io so rinunciare a tutto meno che a te” mood anni ’80,
tensione, ansia da infendeltà e voglia di trovare coraggio in un climax da
decisione repentina… mentre sinuosa si distende tra pianoforte e violini: ” In
qualche modo tireremo fine mese, ho il difetto di insistere, l’abitudine a perdere e questa idea
di fedeltà è più quello che logora. Quando le hai provate tutte poi ci vuole
coraggio.
“Lo zio”: ci troviamo di fronte a una ballad morbida
che vive di armonie in minore che si ripetono e di inserti strumentali
nostalgici (dai soli di chitarra elettrica ai violini) a risaltare immagini
spazianti e a tratti cienematografiche: “ci fu un violento temporale che
spalancò le porte e di lì entrò la notte e solo con l’arrivo del dottore le
bocche delle donne cominciarono a parlare. Lo zio invece smise del tutto”
“La bonne heure”: atmosfere d’antan, andamento zompettante che fa venir quasi voglia di fischiettare, contrasta benissimo con il crimine avvenuto e narrato con dovizia:” commissario dica un po’, mi dica lei, quel che ha inventato la galera di sicuro è qualcuno come lei che in galera non c’è stato mai”
“I condomini”: l’inizio spoglio con gli arpeggi della chitarra e in special modo il cantato, che nella melodia a nostro avviso, può ricordare il miglior Nino Buonocore, confacenti gli inserti di pianoforte e i cori a rafforzare, ”Daria, spiegami tu come si vive senza più niente da scoprire. Daria, spiegami tu che cosa dire ad un uomo che non chiede mai.
“La caccia”: ” E guardo in
fronte ad uno specchio, mi lavo i denti e intono l’inno di Forza Italia con il culo. Avessi tu lo stesso sguardo nel
dirmi che non mi ami più, la stessa voglia di ironia, l’ingresso di una
batteria e il desiderio di andar via.”Forse il brano più intenso e toccante
dell’intero lavoro e pensare che doveva stare in “Dei Cani”, Fabio De Min e
soci chiudono in maniera egregia regalando una grande perla alla canzone
d’autore, in un continuo crescendo di phatos sia narrativo che strumentale coi
fiati in evidenza nella struggente parte finale:”Oggi che la distanza è un
luogo sicuro e non c’è più nulla che ti faccia soffrire, approfittando di tutta
questa felicità, io ho deciso di morire.”
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