Ci
sono legami invisibili, amori sulla carta impossibili, punti di
riferimento che sembrano così lontani dai propri universi. Ma se li
si guarda con attenzione sono proprio quei fili, quei collegamenti
apparentemente inusuali, a creare delle storie uniche. Proprio per
questo può suonare strano che uno dei maestri di Giovanni Succi, la
corda e il legno dei sempre più granitici Bachi da Pietra, sia Paolo
Conte.
Paolo Conte l'avvocato, il paroliere, il pianista jazz,
l'unico cantautore sempre ascoltato da Succi dall'infanzia ad oggi. E
non c'è altro modo per rendere omaggio a un proprio maestro che
tradire la sua opera, avendo ben presente le diverse accezioni
letterali del verbo: tradurre, portare altrove, cambiare,
tramandare.
Nasce da questa idea “Lampi Per Macachi”, il
tributo di Succi a Paolo Conte, otto canzoni del maestro trasfigurate
e al netto del jazz. Otto canzoni che provano a isolare quegli
ingredienti così unici e affascinanti della produzione contiana,
cucinandoli in maniera differente, forse l'unica possibile per non
presentare un piatto manchevole, un tentativo di emulazione che
saprebbe troppo di brutta copia.
Ed è per questo che “Lampi Per
Macachi” (che già nel titolo è una commistione di termini
contiani) lascia per strada l'orchestralità baldanzosa tipica degli
arrangiamenti di Conte, dimentica la strada del jazz puntando invece
su tinte noir e desert blues, marcando i silenzi, scarnificando e
concedendosi sfumature elettroniche e ipnotiche. Attaccando la
chitarra elettrica agli amplificatori polverosi e chiudendo a chiave
il pianoforte, tirando fuori dal mazzo pezzi apparentemente
intoccabili e singoli ormai quasi dimenticati.
Così
“Gelato Al Limon” viene riproposta con tonalità molto più scure
e controllate, mentre “Uomo Camion” è quadrata e acquista vigore
battuta dopo battuta. Ci sono “La Fisarmonica Di Stradella”
stravolta in un trip hop acustico e rumorista e la dolcezza
sussurrata di “Come Mi Vuoi” (in cui per una volta ascoltiamo
Francesca Amati dei Comaneci cantare in italiano). Poi, l'incedere
rock di “Diavolo Rosso”, fatto di progressioni, di elettriche
distorte e tamburi, “L'Incantatrice”, anche questa asciugata da
tutti i mille spifferi del jazz. E ancora una “Bartali” dilatata
e al limite dello spoken-word, che si gioca il jolly dell'unico
pianoforte di tutto il disco e lo adorna di metronomi vintage, di
zither, di percussioni lontane, di sospensioni.
Il disco si
conclude con la sola chitarra elettrica e la voce urlata di “Questa
Sporca Vita”, quasi a sottolineare l'essenza di un lavoro che ha
svestito e rivestito le tracce di Paolo Conte, lasciando qui il brano
nudo nel suo disperato amore.
Troviamo poi quella contingenza
geografica tra l'astigiano Paolo Conte e il nicese Giovanni Succi,
quello spirito piemontese così presente e al tempo stesso così
indefinito, che permea molte canzoni di entrambi. E forse anche per
questo non c'era posto migliore ed emotivamente suggestivo per
incidere “Lampi Per Macachi” di una cantina vitivinicola a Incisa
Scapaccino, un paesino in provincia di Asti, dove, in mezzo ad un
mare di vigneti di Barbera, Succi si è chiuso in quasi totale
isolamento a suonare e registrare insieme a Glauco Salvo e Mattia
Boscolo, con Mattia Coletti al mixer. Il risultato è un tributo con
un'anima meticcia, un concept-album sul Piemonte, ma prima ancora è
un atto di amore e di riconoscenza nei confronti di un maestro. Che
come tutti i maestri va tradito, in modo da poter una volta in più
celebrarne la grandezza.
LAMPI
PER MACACHI
lato
A
1. Gelato Al Limon
2. Uomo Camion
3. La Fisarmonica Di
Stradella
4. Come Mi Vuoi
lato B
5. Diavolo Rosso
6.
L'Incantatrice
7. Bartali
8. Questa Sporca Vita
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