Magic in the Moonlight di Woody Allen


L'idea che Woody Allen anche in questo "Magic in the Moonlight" sia sempre uguale a se stesso e giochi con lo spettatore, che lo conosce e apprezza da tanto tempo, coi suoi soliti panegirici, non è campata in aria ma non è sempre un limite come magari lo è stato nelle più recenti pellicole del nostro. Qui per certi versi siamo di fronte all'altra faccia di "Midnight in Paris", il suo ultimo film più suggestivo, intenso e importante. Assoluta necessità delle illusioni per vivere, è questo l'assioma che viene sviscerato in poco più di un'ora e mezza per un ritratto "teatrale" e familiare, alla ricerca dei sentimenti più autentici, del resto: "Lei non è solo spettacolo, è di più, è scienza, filosofia, religione" e sotto intende neanche tanto velatamente la parola amore, che travalica fede e raziocinio e ci scopre felici e inebetiti, al punto da non saper più distinguere il falso dal vero e quali sono le ragioni reali che ci spingono a compiere determinate azioni, a pronunciare certe parole. 1928, Stanley Crawford (Colin Firth) è un celebre illusionista che dopo uno spettacolo a Berlino, viene convinto da un amico rivale a smascherare una pseudo veggente, Sophie Baker (Emma Stone) in grado di leggere il pensiero e di parlare coi morti, che sembra stia per circuire una nobile e ricchissima famiglia francese. L'andamento della vicenda è abbastanza prevedibile, così come gli snodi narrativi principali si capiscono abbastanza chiaramente sin dal principio, in quanto la caratterizzazione dei personaggi è sin troppo marcata, anche se in un certo qual modo confacente, in quanto sono chiari i riferimenti alla commedia brillante americana del dopo guerra, immersi in vedute paesaggistiche incantate, in attesa che la guerra scoppi per davvero. Questo è un sotto testo da non trascurare e non sembra un caso che il film apra proprio su Berlino e le teorie di Nietzsche e Hobbes riecheggino per tutta la pellicola, tutt'altro. Allen aiutato anche da una fotografia sontuosa, oltre che da un esile e poco originale trama che sembra essere più un pretesto, passa in rassegna la condizione umana, sospesa "nella storia" tra mille teorie antiche e moderne, ma che hanno sempre lo stesso comune denominatore: Dio, come credersi, come potere, come rifugio, come amore e non mancano le stoccate: a cominciare da "Credersi... Dio" : "Non c'è niente di genuino, dal tavolo a tre gambe, alle candele, al Vaticano" o ancora "Potere": "Credo che l'altro mondo sia perfetto per aprire ristoranti, anche gli spiriti devono mangiare", "Rifugio": "Perchè Dio si sarebbe preso così tanto disturbo se tutto venisse dal nulla?" e per concludere "Amore": "Ma tu mi hai mai considerato come femmina? - Avevo la certezza non fossi del mio stesso sesso", perchè in fondo " Il mondo può anche essere del tutto privo di scopo, ma non del tutto privo di magia". 

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