The
Panicles ci regalano un disco che è un mix ben costruito tra due parole: “Simplicity: The Universe (extended)”, ed il senso è insito in
ogni brano anche se queste “pannocchie” sono giovani ed hanno
meno di 30 anni:
Carlo "Mad-Eye" Badanai alla batteria, Mattia "Met"
Sarcetta al basso e Michele "Mik" Stefanuto (voce e
chitarra). Ma hanno già girato l'Italia e l'Europa portando i loro
brani in giro ed aprendo i concerti di Verdena, Ministri, Motel
Connection, Bandabardò, tra gli atri. Sono bravi e questo disco ne è
la prova, ma potrebbero distaccarsi ancora di più, proprio perchè ne
hanno le capacità, da quelli che sicuramente sono i loro “miti”,
la ragione per cui suonano e scrivono. Lo si capisce sin da subito
con “Simplicity”, un rock grintoso con vocalizzi
alla Bono Vox, voglia di vivere perchè per essere felici basta poco:
"Io ero la pioggia su di te, ora non ho paura"...
chitarre elettriche energiche e una sezione ritmica possente,
le stesse che si ascoltano in “Feeling High” che non rompe col
precedente anzi ne è la naturale prosecuzione: l'elevata sensazione
di farsi un tutt'uno con la natura, la bellezza delle cose
semplici... bridge quasi dub, belle le chitarre, armoniche non
“secche” ma eteree.
Il registro cambia in “Paralyzed”
dove in sonorità anni '80 – lo fa intuire la batteria – i
Panicles in un moto di nostalgia ed impotenza cantano
dell'incomunicabilità dei sentimenti, della resa,
dell'accettazione... interessante l'assolo lievemente distorto ma
molto dissonante del finale. “I fall” musicalmente sembra un
brano-omaggio agli U2, ai loro suoni e la voce di Mik ricorda
paurosamente quella di sir Bono... cadere per risalire la china come
il pezzo che nel finale svela riff di chitarre molto convincenti e
“While I’m down-and-out” è un puro rock pop che descrive proprio quella condizione che è poi quella attuale di molti italiani attanagliati
da una crisi non solo economica ma anche di valori. "Universe" è
proprio l'opposto di “I fall” in tutti i sensi, ma anche una
continuazione, perchè dopo aver toccato il fondo non si può far
altro che risalire... “Universe”, come la seconda parte del
titolo, semplicemente quando non ti manca nulla non puoi
far altro che gioirne e i momenti brutti sono lontani... e questo
country culla e si sposa a meraviglia. Il funk allegro di “Your
limits” alla Duft Punk per ammissione dei “nostri”, brano che
non ha pretese ma che è davvero trascinante: “Non posso definire i
tuoi limiti perché questo sarebbe il mio stesso limite”. Ombre e
luci in questa melodica black and white “B/w photographs” che ha
un intro molto nirvaniano che cambia pelle, divenendo dolce e
suadente grazie a Mik che potrebbe anche non "tirare" la voce nel finale... non sembra affatto un brano scritto a 19 anni... la
stessa atmosfera si ritrova anche in “Tell
me something I can sing” molto più pop rock però, in cerca di
fonti d'ispirazione trovate, in parte nel finale, con una graffiante
vocalità alla Steven Tyler. Ispirazione trovata anche in
“Revolution” dove i richiami ai Beatles sono fin troppo chiari,
solo l'estensione della voce cela un chiaro beat anni '60 e solo i
tempi sono quelli che sono per non consentire un'altra rivoluzione...
forse siamo stanchi ma il consiglio che diamo ai Panicles è di non
esserlo e di cercare di maturare ancora di più il loro personale
sound e difatti, nel finale del disco, una “I fall” versione acustica, con
una sezione ritmica loopata, ci fa capire che probabilmente abbiamo
ragione perchè è molto più interessante del brano precedente dove
vincono facile i rimandi ai big del passato. Il disco peraltro, ha suoni ben equalizzati e una più che buona produzione.
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