Horus Black - Simply



E' un '99 Horus Black e si sente tutto. E' stata davvero coraggiosa la sua etichetta, la Sony Factory, a puntare su un autore 19enne, figlio e nipote di musicisti, che risulta ancora molto acerbo. Però onesto e vero tra tanti "creati ad hoc" per il mercato e questo paga. Ed infatti l'album si chiama "Simply", niente di più "semplice", lampante, chiaro: un giovane cantautore, interprete anche, che è ancora troppo legato agli ascolti che tutti i musicisti attraversano nel primo periodo della loro "vita musicale". In questo caso il rock'n'roll anni '50 di Elvis e colleghi, qualche incursione del funky appena nato e qualche sonorità più puro rock anni '60. Vocalmente il genovese Riccardo Sechi è molto Presley, col vocione alquanto impostato, con i brani che assomigliano tanto ai loro vari "padri".
Inizia a darne dimostrazione nella title track, pochi accordi e armonici curiosi, "Simply" è l'unica cosa che Horus chiede. Melodia graziosa e apertura piena verso il chorus ed il bridge alla Paul McCartney per virare nel piglio rock'n'roll di "We are alone tonight", energico con i coretti "Shake" modernizzati dai riff dell'elettrica e da una più possente sezione ritmica. Pienamente anni '60 "Lonely melody", proprio una melodia solitaria, di un uomo che è come se cantasse alla luna il suo amore impossibile e tra qualche "please" qua e là ancora una volta si risente l'infuenza di Elvis Presley e di un certo atteggiamento alla Paul Anka. La batteria sdolcinata sembra rallentare un pezzo che ha voglia di uscire fuori prorompente e che invece resta piatto. "Oh baby..." e Horus dopo questa prima ispirazione si lancia in riff che potrebbero essere interessanti se sfoggiati col piglio deciso in “I know that you want" ma anche qui la parte musicale e strumentale da primissimo funky, alla James Brown, fa solo da accompagnamento alla voce calda e impostata del nostro. In "Sophie" si torna nettamente in mood rock'n'roll, in stile Jerry Lee Lewis. Una melodia già sentita e forse abusata negli anni d'oro... comunque resta un pezzo davvero ballabile ed il migliore dell'album; a fare bene soprattutto la sezione fiati che si lancia nel ricordo di Sophie e di quella storia probabilmente ormai passata ma da conservare come una delle tante esperienze di vita.
Non può che iniziare con i drums che mettono su una marcetta, "The march of hope", ammiccante e anch'essa ballabile principalmente nel ritornello "speranzoso"... "Miss Candy" è l'Only You del disco, con la batteria morbida che segue la voce di Horus Black. Una canzone sicuramente sentita molto dal giovane ligure perchè la canta come se fosse suo nonno a dedicarla alla tenera moglie che non c'è più... ed è tutta un violini appassionati ma troppo datati. "Cock a doodle doo" per Horus è, per sua ammissione, come le onomatopee e i giochi di parole delle storiche "Tutti frutti" e "Be boppa lula". Con questo "Chicchirichì" si diverte a rockeggiare alla vecchia maniera, alla Bill Haley & His Comets, padri del r'n'r. 
Nata "In my bed" nel vero senso della parola, Horus non riesce a dormire ("I can't sleep") e scrive una sorta di "Can't Help Falling In Love" meno affascinante dell'originale per forza di cose. Ad emergere è più la voce e quindi evidentemente si vuole dar forza al testo. Nata su suggerimento e un pò per scherzo, "We can't go on this way" chiude l'album in maniera cupa e quasi mistica, come un novello Jim Morrison con i coretti sospettosi. Nulla di esaltante fino a quando il brano cambia pelle e si trasforma in un rock voglioso di urlare. Per la prima volta la batteria s'impone per poi scomparire nuovamente in un etereo finale di cori e di veli noise che sono la migliore cosa ascoltata in questo disco. Ecco, l'invenzione è sempre la strada maestra. Horus, percorrila!


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